‘Tre di troppo’, essere o non essere genitori secondo Fabio De Luigi

La commedia family diretta dall'attore sarà al cinema il 1° gennaio con Warner Bros


“Se ti metti a fare la regia è meglio che cerchi una storia che sai manovrare. Io con questo film ho avuto la possibilità di sfruttare un’idea intelligente che sento di poter raccontare, in cui mostro le due versioni della vita: con e senza figli. Senza schierarmi, ma raccontando un pezzo dell’oggi”. Alla sua seconda prova dietro la macchina da presa dopo Tiramisù,  Fabio De Luigi ha puntato su Tre di troppo, commedia family che ha scritto con Lara Prando e Michele Abatantuono e che interpreta affiancato da Virginia Raffaele, alla sua prima volta da protagonista al cinema. Padre di due figli nella vita, l’attore finisce per averne tre nella finzione di questo film grazie a un incantesimo, anzi a un anatema. Ma andiamo con ordine.

In Tre di troppo – al cinema dal 1° gennaio con Warner Bros –  De Luigi veste i panni di Marco, barbiere orgogliosamente “no kids” (i bambini non hanno accesso nemmeno nel suo negozio) sposato felicemente con Giulia (Virginia Raffaele), con cui condivide una casa ordinata, una macchina decappottabile, serate danzanti senza limiti di orario e la possibilità di avere cura del proprio corpo. Con un atteggiamento piuttosto sprezzante, Marco e Giulia sono convinti che “il senso di colpa dei genitori sia il mercato più florido dei nostri tempi” e guardano con commiserazione la vita infernale dei loro migliori amici Carlo e Anna (Renato Marchetti e Barbara Chichiarelli), che invece di figli ne hanno due e sono sovraccarichi di ansie e paranoie. Finché un giorno Anna, esasperata dal loro sarcasmo, non lancia loro una maledizione in una gustosa scena dal sapore horror. Il giorno dopo Marco e Giulia si risvegliano in un’altra realtà: ci sono tre bambini in casa, lui non ha più la sua bella barbetta hipster e a lei è sparito lo smalto dalle unghie. I bimbi sono Simeone, Sofia e Max, di 10, 9 e 6 anni, con cui saranno costretti a fare quell’esperienza infernale che hanno sempre aborrito, incontrando nel loro percorso “Biancaneve”, una mamma “così felice che ti viene da picchiarla” (Marina Rocco), un pedagogo (interpretato dallo sceneggiatore Nicola Guaglianone) che ostenta comprensione per il senso di “fallimento, impotenza e rassegnazione” di tutti i genitori, e tre ragazzini che sembrano intollerabilmente incompatibili con la loro voglia di libertà.

“Ho voluto raccontare cose in cui ognuno di noi può riconoscersi – ha spiegato De Luigi, che ha dedicato Tre di troppo ai suoi genitori – Spesso la retorica della genitorialità, invece di avvicinare, allontana dal desiderio di fare figli e con questa storia ho cercato di far capire esattamente, nel bene e nel male, cosa significa farne l’esperienza. Sono stato anche uno che non aveva figli, prima di averne, quindi ho sperimentato entrambe le condizioni raccontate dal film e sono entrato facilmente nel mio personaggio”. Virginia Raffaele, che invece non è mamma, ha sottolineato: “Non mi rispecchio molto nell’eccessivo sarcasmo e cattiveria che ostenta chi non ha figli verso chi ne ha, ma naturalmente la mia condizione è più simile alla versione di Giulia senza figli ed è stato più semplice immedesimarmici. Sul set, però, mi sono resa conto che non uscivo più dal ruolo: quando si dava lo stop continuavo a tener d’occhio i tre giovani attori (Valerio Marzi, Greta Santi e Francesco Quezada, NdR) con una cura genitoriale”. Grazie alle indiscusse doti comiche e attoriali di De Luigi e Raffaele, il racconto di Tre di troppo trova un bellissimo equilibrio tra risate e coinvolgimento emotivo, inquadrando con efficacia i vari volti della genitorialità e regalando anche qualche piccola soddisfazione cinefila.

Prodotto da Warner Bros. Entertainment Italia, Colorado Film Production e Alfred Film, Tre di troppo per Fabio De Luigi è anche un film con cui spera di riaccendere l’attenzione del pubblico verso la sala: “Speriamo che con il Natale si riattivi la fiducia degli spettatori verso la visione al cinema. Avatar contribuirà a portare gente in sala, ma mi auguro che gli spettatori tornino anche per i film italiani”.

 

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