VENEZIA – “Mi sono ispirato al racconto di Tolstoj Dio vede la verità ma non la rivela subito. Ho letto la storia molto, molto tempo fa. Oggi ricordo solo la premessa. Ho già dimenticato la trama e i nomi dei protagonisti. Ricordo che ciò che più mi colpì quando la lessi fu il fatto che nessuno di noi capisce davvero la vita. Non la conosciamo realmente. Questa è una delle verità fondamentali dell’esistenza. Alcuni di noi riescono a sentire che c’è una continuità, che le cose che facciamo possono essere collegate. Ma più spesso siamo succubi e travolti dalla casualità della vita”. Così Lav Diaz a proposito del suo The Woman who Left, in concorso a Venezia. Per il regista filippino famoso proprio per la durata fluviale delle sue opere, questo nuovo lavoro, che tocca quasi le quattro ore, non è particolarmente lungo, ma tale è invece sembrato a molti critici, che hanno via via lasciato la proiezione, tra questi anche Federico Gironi, che ha raccontato la sua idiosincrasia per questo celebrato autore in un articolo divertente pubblicato su Comingsoon che vi invitiamo a leggere.
Ovviamente la poetica di Lav Diaz – che ha ottenuto importanti riconoscimenti internazionali tra cui il Pardo d’oro a Locarno con From What is Before – è proprio legata alla durata e alla elaborazione del tempo della visione, che in alcuni momenti coincide con il tempo reale, è il suo marchio di fabbrica e anche la qualità in qualche modo unica del suo cinema. La narrazione è costruita da lunghi piani sequenza che sembrano trasmettere proprio quell’assenza di senso, l’assurdità dell’esistenza e l’impossibilità di conoscere le verità fondamentali di cui lui stesso parla nelle note di regia. Ma contemporaneamente a lui interessa scrivere (o riscrivere) una controstoria delle Filippine.
Se l’epico A Lullaby to the Sorrowful Mystery, visto all’ultimo Festival di Berlino dove ha vinto il Premio Alfred Bauer, era dedicato alla rivoluzione filippina del 1896, in questo caso il racconto è ambientato nel 1997, anno caratterizzato da un’epidemia di rapimenti a scopo di estorsione a Manila e nel resto del paese, ma anche anno della morte di Lady Diana e Madre Teresa di Calcutta, mentre Hong Kong cessa di essere una colonia britannica. La protagonista della vicenda è Horacia, una donna che ha passato trent’anni della sua vita in carcere, pur essendo innocente. Rilasciata, ripercorre le tappe della sua vita alla ricerca dei suoi cari, che durante gli anni della prigione l’hanno abbandonata, in particolare un figlio che sembra essere scomparso, ma soprattutto cercando vendetta contro l’uomo che l’ha fatta accusare ingiustamente per gelosia. In bianco e nero, girato con la camera fissa, spesso in scene notturne, il film è interpretato dalla bravissima Charo Santos-Concio. Di lei potrebbe ricordarsi la giuria, a meno che questa non sia per Lav Diaz l’occasione per conquistare il Leone.
Sarà Microcinema a distribuire nelle sale italiane il film Leone d'Oro 2016, The woman who left, nuovo capolavoro di Lav Diaz. La pellicola, che nonostante il massimo riconoscimento al Lido non aveva ancora distribuzione e che si temeva restasse appannaggio soltanto dei cinefili che l'hanno apprezzata alla 73esima Mostra di Venezia, sarà quindi visibile a tutti, permettendo così agli spettatori del nostro Paese di ammirare per la prima volta un'opera del maestro filippino sul grande schermo
Il film di Denis Villeneuve segnalato dalla giuria di critici e giornalisti come il migliore per l'uso degli effetti speciali. Una menzione è andata a Voyage of Time di Terrence Malick per l'uso del digitale originale e privo di referenti
Il direttore della Mostra commenta i premi della 73ma edizione. In una stagione non felice per il cinema italiano, si conferma la vitalità del documentario con il premio di Orizzonti a Liberami. E sulla durata monstre del Leone d'oro The Woman Who Left: "Vorrà dire che si andrà a cercare il suo pubblico sulle piattaforme tv"
Anche se l’Italia è rimasta a bocca asciutta in termini di premi ‘grossi’, portiamo a casa con soddisfazione il premio Orizzonti a Liberami di Federica Di Giacomo, curiosa indagine antropologica sugli esorcismi nel Sud Italia. Qualcuno ha chiesto al presidente Guédiguian se per caso il fatto di non conoscere l’italiano e non aver colto tutte le sfumature grottesche del film possa aver influenzato il giudizio finale: “Ma io lo parlo l’italiano – risponde il Presidente, in italiano, e poi continua, nella sua lingua – il film è un’allegoria di quello che succede nella nostra società". Mentre su Lav Diaz dice Sam Mendes: "non abbiamo pensato alla distribuzione, solo al film. Speriamo che premiarlo contribuisca a incoraggiare il pubblico"