Transe: contro la schiavitù del XXI secolo


TranseLa portoghese Teresa Villaverde ha portato alla Quinzaine un film molto personale e molto duro sul traffico di esseri umani in Europa: giovani donne senza futuro che fuggono da casa alla ricerca di un benessere che non troveranno mai. Diverranno invece prigioniere di un inferno di torture, schiavitù e sfruttamento. Transe, prodotto da Paulo Branco con un contributo dell’italiana Revolver (e la presenza di due raffinati attori italiani come Iaia Forte e Filippo Timi), mette in scena proprio questo orrore, che la regista paragona ai campi di concentramento nazisti, con un linguaggio non realistico, ma poetico e rarefatto tipico di questa cineasta quarantenne, ex assistente di Joao Cesar Monteiro, autrice di Tres Irmaos, che valse a Maria de Medeiros la Coppa Volpi a Venezia ’94.

Transe è la storia di un transito o forse una via crucis, dalla gelida Russia attraverso il continente europeo, verso l’Italia e quindi in Portogallo, ma “trance” potrebbe essere il sentimento ipnotico, quasi letargico, indotto nello spettatore in linea con lo stile di Teresa Villaverde.

Tra i suoi lavori Os mutantes, che parlava delle “case speciali” per minori a rischio; Agua e sal, presentato a Venezia nel 2001, e interpretato fra gli altri da Galatea Ranzi, purtroppo legato alla brutta vicenda della separazione dal marito, il collega Jon Jost, con cui Teresa, dopo la fine della loro convivenza e il suo ritorno in Portogallo dall’Italia (la coppia viveva a Roma), ha avuto una lite rimbalzata anche in una petizione pubblica e da lì sulle pagine dei giornali.
Sonia, la giovane protagonista di Transe, lascia dietro di sé gli affetti familiari per inseguire la sua illusione lontano dalle distese ghiacciate di San Pietroburgo. “La tratta degli esseri umani e la schiavitù sessuale sono sicuramente il punto di partenza del film: sono una cosa terribile perché neppure il nostro corpo ci appartiene più. Pensando a quello che accade a Sonia e a tente donne come lei – anche qui a Cannes, durante il festival, mentre noi stiamo al cinema, ci sono tante ragazze costrette a prostituirsi – mi sono venute in mente le torture di Abu Ghraib. Perché la tortura esiste ovunque nel mondo, anche in quei paesi che si sentono civilizzati: non ci siamo ancora affrancati dalla tortura, dalla schiavitù e dal genocidio: Come diceva Teresa D’Avila l’inferno è un cane che abbaia là fuori”.

autore
23 Maggio 2006

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