Nelle sale italiane dal 7 luglio con Luce Cinecittà Toxic Jungle di Gianfranco Quattrini, regista sudamericano di origini italiane che nel 2006 ha portato al Festival di Venezia (Giornate degli Autori) il suo esordio al lungometraggio, Chica tu madre. Un biopic immaginario, e fortemente immaginifico, che unisce ritmi rock a rituali ancestrali, in un viaggio tra i colori vividi del palco e quelli altrettanto vivi dell’Amazzonia. Un road movie sulle note contagiose dei Fratelli Santoro, rock’n’roll band argentina protagonista del film. Si inizia con l’educazione musicale dei piccoli fratelli Diamond e Nicky, per passare al primo 45 giri trasmesso in FM, al successo del primo disco, e alle prime esperienze psicotrope. Fino alla preparazione del secondo disco, rimasto incompiuto, e al richiamo della magica Ayahuasca, una medicina ancestrale. La meteora dei Fratelli Santoro si interrompe, ma il mito di questi Doors tropicali non smette di perseguitare Diamond, che 40 anni dopo torna per intraprendere il viaggio interrotto di Nicky nella foresta e liberare così il fantasma di una musica intrappolata nel cuore.
“Toxic Jungle racconta la storia di due fratelli, legati per sempre dalla musica. Costantemente alla ricerca del loro destino e della guarigione nel cuore della Selva Amazzonica”, spiega il regista che ha indagato a fondo l’esperienza del rito che ruota attorno all’Ayahuasca, un mix di piante sacre purificatrici da assumere tradizionalmente durante un rito sciamanico nel cuore della Foresta Amazzonica. Una tradizione molto seguita soprattutto dai nordamericani, che accorrono tutto l’anno nella cittadina peruviana di Iquitos per affrontare questo cammino interiore. “Ma non è un’esperienza piacevole”, ammonisce il regista che l’ha provata più volte. “Durante il rito ci si sente male, si perde il senso del tempo e sembra che il corpo stesso si perda. Contemporaneamente tutti gli errori del passato, anche i rimossi, tornano alla mente. Attraverso questa consapevolezza avviene la purificazione dell’anima”. Una sorta di percorso psicoanalitico concentrato, che richiama anche in qualche modo gli Anni ’60 (non a caso ambientazione iniziale del film) e quel desiderio di espandere la coscienza attraverso esperienze psicotrope. Nel corso della cerimonia dell’Ayahuasca, i canti del curandero rappresentano il veicolo per compiere il viaggio di esplorazione interiore che cancella i limiti tra realtà e allucinazione, tra vita e morte, ma anche l’unico riferimento sonoro terreno a cui aggrapparsi per non perdersi nel cammino. Ed è un autentico curandero peruviano, don Agustín Rivas Vásquez, il personaggio che compare a un certo punto nel film per mettere in scena un rituale di purificazione. A lungo corteggiato dal regista, in una ricerca durata parecchi mesi: “La prima volta che l’ho conosciuto, è stato davvero davvero difficile comunicare, era come se fosse costantemente in un’altra dimensione. Il lavoro più impegnativo è stato proprio trovare un punto di comunicazione comune”.
Toxic Jungle è una coproduzione tra Italia, Argentina e Perù, realizzata anche grazie all’accordo di sviluppo progetti di coproduzione italo-argentina.
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