MILANO – L’identità è solo formale: è un netturbino, ma senza nome (Paolo Briguglia); vive e lavora in un avamposto periferico del meridione italiano: come si chiami, nemmeno del luogo è dato a sapersi. C’è già inquietudine e mistero in queste premesse di The Garbage Man di Alfonso Bergamo, film Fuori Concorso al Noir in Festival 2023.
Questo Uomo della Spazzatura s’accompagna anche a un umore introverso nonché autodistruttivo: il padre, lo sappiamo, è un genitore violento, ma nonostante questo buio personale, interiore e indotto dal contesto intimo, lui ha una luminosa risorsa interiore, che gli consente di intercettare la grazia anche in quel suo mestiere che all’apparenza è proprio espressione di un polo apposto: lui, nella spazzatura, intercetta dei tesori, le cose che le persone buttano via perché si sono stufate, perché non gli danno più un valore, ma questo non significa che non siano ancora intrise di bellezza, che lui, sa guardare e vedere.
La vita, tanto opaca, sembra ad un certo punto restituirgli delicatezza e attenzione, e nella sfera un po’ implosa di quest’uomo potrebbe far capolino persino l’amore (Roberta Giarrusso), ma il mondo, di cui la spazzatura è specchio, è marcio e lo rimette all’angolo della vita, così – seppur poco nelle sue corde – è costretto a vestire i panni dell’antieroe per ripulire le strade, non più dalla spazzatura fisica, ma da quella umana, definitivamente, mettendo a rischio tutto.
Alfonso Bergamo, il regista, debutta nel 2016 con I ragazzi della Giudecca, con Giancarlo Giannini, Franco Nero e Tony Sperandeo, che torna anche in questo film, nel ruolo del boss, Rosario: lo stile della regia è asciutto, nessuna scivolata baracca, perché dettagli e gesti raccontino senza mai sfuggire e siano canali comunicanti fino all’esplosione ultima. Nel cast anche Randall Paul, collega netturbino, un po’ mentore, paterno.
Sperandeo, ci sono attori per cui il costume di scena è fondamentale per entrare nel personaggio: il suo boss indossa un particolare completo color rosa cipria, curioso per un uomo della sua razza. Qual è il suo rapporto col costume in generale e con quello di Rosario in particolare?
È una scelta di regia; a me non piaceva, ma ha un significato. Per me il costume non concorre per un personaggio, assolutamente no: io studio la sceneggiatura, parlo con la regia, poi ci metto del mio, e così divento quel personaggio. Per sette anni ho fatto la serie La squadra e interpretavo un poliziotto, ero uno diverso dagli altri, incazzato, duro ma a favore della legalità: per il ruolo che interpreto, che sia per la legalità o per l’illegalità, l’importante è che il personaggio io lo faccia per come dev’essere, funzionale al film. Rosario è la feccia della società ma alla fine c’ho messo una cosa mia, parlandone con la regia: quando mi stanno uccidendo sono incazzato, disperato, ma muoio ridendo e questa è una bella cosa che mi sono inventato, perché non voglio dargli la soddisfazione nemmeno alla fine, è un modo per dire – ridendogli in faccia – ‘sì, ammazzami’.
Un altro accessorio immancabile per Rosario è proprio un rosario, che sgrana tra le dita: appartiene all’iconografia del boss che può tutto il peggio ma poi è devoto a una sua Fede religiosa?
Sì, sì. Per me questa è una cosa molto volgare ma nella realtà si vedono i malavitosi che hanno dappertutto i santini, la Bibbia: non c’è nessun nesso tra uno che ammazza e poi l’essere vicino a Dio e pregare. Io chiedo scusa ai siciliani onesti per aver infangato la loro identità con certe mie performance. Il messaggio da dare alla nuova Sicilia è nella sceneggiatura che sto scrivendo, e di cui dovrei fare anche la regia, si tratta della seconda parte di Una preghiera per Giuda: io sono un mafioso che crede nell’onore, e mi voglio riabilitare, così mio figlio lo faccio studiare e diventare un grande avvocato; lui è per la legalità, così io mi rendo conto del percorso della mia vita di merda, in cui ho infangato tutta la mia Terra e la popolazione con tutto il tema della mafia, e questo personaggio, che non è un pentito, ha però capito che così non si cresca; certo, aggiungo che ad aver distrutto l’immagine della Sicilia non ci sia solo la Mafia, ma c’entri anche tanto la politica.
Il suo Rosario è un uomo che sa provare empatia, malinconia, oppure solo l’ossessivo sentimento dell’attaccamento al malaffare?
C’è la scena in cui prende i regali per i bambini ma queste sono cose che i mafiosi devono fare per mostrare che non sono cattivi ma tu, nel momento in cui ammazzi una persona, in cui infanghi una terra, non stai facendo del male? La tragedia è diventata una farsa.
Rosario – nella sua ferocia – chiede però a uno dei suoi picciotti di cantare per lui: risiede nella musica il senso dell’umano di quest’uomo?
Questo di umano non ha niente. Infatti, che finisca buttato in mezzo ai rifiuti è la cosa più giusta che possa esistere, è una bella sceneggiatura. E poi devo fare un plauso al regista: Alfonso è uno di quelli che la macchina da presa ‘se la mangiano’, certe volte ti rompe e ti fa rifare anche 12 ciak perché non è mai contento, ma… sa davvero usare la mdp, mentre ci sono registi a cui basta affidarsi al direttore della fotografia e il cinema infatti… questa è la distruzione del cinema, scordandoci che un tempo era allo stesso livello di quello americano, che ha continuato a creare l’industria, mentre noi no.
Rosario avvicina a un certo punto il personaggio di Roberta Giarrusso, dicendole che ha portato il sole nel paese, ma che le convenga essergli più amica che nemica. Come guarda le donne, ne ha un rispetto secondo qualche regola non scritta della sua malavita?
Anzitutto, le fa una minaccia. Rosario non le rispetta affatto, è un prepotente che vuole tutto per sé, tutto e subito, a tutti i costi. È la feccia dell’umanità questo qua, completamente l’opposto di me.
Rosario confessa al prete: ‘ho ucciso’. Personalmente, lei, che rapporto ha sia con la Fede – intendendo il suo valore di assoluzione spirituale; sia con la verità – intesa come necessità dell’essere umano di sollevarsi da un fardello?
Io Sperandeo sono molto religioso, vado in chiesa, tutte le sere dico le preghiere e mi raccomando a Dio, comincio da mia madre e includo tutti; l’assoluzione di un mafioso è un problema tra lui e il Signore: non ci credo, come non credo che Dio possa salvare chi ha commesso dei reati così abnormi, però… Dio è grande, quindi in assoluto non posso dire. Per la verità, io personalmente ho detto qualche bugia da bambino, ma parlo sempre guidato dalla verità: pesa, perché quando sei troppo onesto certe volte la paghi e vanno avanti gli stronzi, e io non sono né leccaculo né stronzo, però la vita mi piace affrontarla sempre parlando tra persone sincere.
Tony Sperandeo è stato anche insignito del Premio Luca Svizzeretto 2023 – Independent Spirit Award, conferito dal Noir in Festival: intitolato a un giornalista, amico e collaboratore del Festival scomparso nel 2016 dopo una coraggiosa battaglia con il morbo di Crohn, che dal 2017 incorona un personaggio anticonvenzionale del cinema italiano. Accogliendo l’annuncio del Premio, Sperandeo ha dichiarato: “quando vinsi il David di Donatello, il Premio non l’ho dedicato alla mia famiglia, a mia moglie che era ancora in vita, ma alla città di Palermo, e ho sbagliato. Per me questo è un Premio importante, a 70 anni e dopo oltre 40 di carriera, e lo voglio dedicare alla mia famiglia, a mia mamma che ha 98 anni e mezzo, ai miei figli – uno a Milano e uno a Palermo -, a mia sorella gemella che è qui presente, e ai miei nipoti: Palermo non lo merita perché me ne sono andato per 23 anni ma sempre lì sono stato in verità; la città di Palermo mi dimentica: nemo profeta in patria”.
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