Esce il 21 marzo, Giornata mondiale contro il razzismo, Il pugile del duce di Tony Saccucci, documentario prodotto e distribuito da Luce Cinecittà che ripercorre una vicenda negli anni del regime fascista con rigore storico e straordinari filmati d’epoca provenienti da quell’Archivio Luce che sempre più riserva sorprese e materiali inediti. Questa volta si tratta delle immagini dell’incontro di boxe avvenuto il 24 giugno 1928 tra il bianco Mario Bosisio, campione europeo dei pesi medi, e lo sfidante il nero Leone Jacovacci, metà italiano e metà congolese.
Un pugile quest’ultimo potente, dotato di una tecnica che precorre i tempi, che parla quattro lingue, cinque con il romanesco. Un pugile nero popolare e beniamino dal pubblico, il cui curriculum sportivo è segnato dalla discriminazione razziale: gli ostacoli e i divieti d’iscriversi alla federazione pugilistica italiana, una volta ammesso ai campionati i verdetti di parte, fino a quella sfida decisiva della sua carriera. Quel 24 giugno, allo stadio nazionale di Roma, l’attuale Flaminio, davanti a circa 40mila spettatori e prima radiocronaca in diretta nazionale.
Sul ring Leone si laurea campione europeo dei pesi medi, ma Mussolini lo cancella dalla storia italiana, gli preferisce il bianco Carnera. Il filmato integrale dell’incontro è tagliato alla 15ma ripresa, l’ultima, mancano i fotogrammi, andati perduti, di Jacovacci vincitore. Del resto due giorni dopo il match sulla prima pagina di un quotidiano è scritto: “Non può essere un nero a rappresentare l’Italia all’estero”.
Il pugile del duce ci porta dentro quella vicenda e quel tempo grazie a preziose immagini in bianco e nero dell’incontro, del pubblico appassionato dello stadio, degli allenamenti, dell’Impero africano, di vita quotidiana. Il film ha avuto il patrocinio di CONI, Federazione Pugilistica Italiana, ARDI–European Parliament Anti-Racism and Diversity Intergroup, MigrArti.
Come siete arrivati a questa incredibile vicenda sportiva e politica?
Saccucci. Il merito è di Mauro Valeri che ha lavorato 6 anni a “Nero di Roma”, un libro colto e complesso che ricostruisce questa storia con rigore filologico. L’ho ricevuto in regalo e ne ho voluto trarre un documento più fruibile, rivolto a un pubblico più largo, ai giovani. Valeri non a caso nel film è il narratore e il biografo di Jacovacci. Ed è in fondo anche il padre, se pensiamo alla vicenda privata che qui ci racconta.
Valeri. In rete Jacovacci è conosciuto in quanto afroamericano, come se l’Italia non avesse valorizzato la sua storia, ci si dimentica infatti degli italiani neri. Ho scoperto il suo nome citato in un volume della ‘Gazzetta dello Sport’ accanto a quello dell’ex campione mondiale dei pesi medi, l’italiano Patrizio Sumbu Kalambay, di origine congolese come Jacovacci. Ho avuto la fortuna di rintracciare la figlia di Leone nei dintorni di Verbania, e lei mi ha messo a disposizione un scatolone pieno di documenti. Dal punto di vista storiografico gli italiani neri sono dimenticati, eppure nella prima Guerra Mondiale c’erano 4 ufficiali neri, e il primo aviatore nero nel mondo è stato italiano, Domenico Mondelli. Sul razzismo italiano di quel periodo c’è una rimozione, c’è ben poco, eppure nel 1940 era in vigore una norma che diceva che i meticci non potevano acquisire la cittadinanza italiana. Voglio ricordare che ora, grazie al MiBACT, verrà creato un archivio storico degli italiani neri.
Insomma quella di Jacovacci è una storia rimossa.
Saccucci. Una vicenda poco nota anche a storici del fascismo del calibro e del valore di Emilio Gentile. Una storia sparita e censurata che dopo anni diventa verità. Non esistono i fatti, esiste l’interpretazione dei fatti, non esiste la storia, esiste la costruzione che gli uomini fanno della storia. La storia è ricostruita in base alle esigenze del presente, la storia è politica, potere.
Nel titolo Mussolini è citato, ma nel film non compare mai, perché questa scelta registica?
Saccucci. E’ una scelta di regia non far vedere mai Mussolini pur titolando Il pugile del duce. Mussolini è il grande assente di questa storia, lui ha orchestrato dietro le quinte la rimozione del nero in generale. In una sua lettera scritta nel ’25 a un architetto, sta cercando di fascistizzare Roma che, a differenza di Milano, non lo è, e dice di voler togliere le incrostazioni e nel giro di tre anni toglie l’incrostazione Jacovacci. La rimuove non parlandone, e dunque equivale a non farla esistere.
Il film non racconta la vita di Jacovacci dopo quella vittoria che in realtà coincide con il suo tramonto.
Saccucci. Ho voluto creare una tensione emotiva su quell’incontro perché il destino dell’uomo ruota intorno ad esso. Nel libro in cui Leone con metodicità registra sia tutti gli articoli di stampa italiani e non che parlano di lui sia tutti gli incontri di boxe, anche l’ultimo del 1935, manca proprio l’importante match del 24 giugno. Si è autocensurato, lo aggiunge solo successivamente con la penna rossa, sbagliando però la data.
Tutto il film ruota intorno a quel vuoto ed ecco le immagini del Flaminio vuoto dove viene intervistata la figlia di Jacovacci. Gli extra del DVD del film affronteranno gli anni a seguire di Leone, quando nel ’30 torna a Roma e si ritrova fare un saluto fascista poco convinto, certo non quello sicuro di Primo Carnera, mito costruito del fascismo.
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