Dopo anni di silenzio, ci si aspettava che Tony Kaye (regista di American History X), tornasse con l’annunciato African History Y. Invece è prima il turno di The Trainer – in concorso alla Festa del Cinema di Roma – dark comedy caratterizzata da un cast stellare. Tra i nomi spicca Bella Thorne, nota al pubblico italiano per la recente apparizione in Time is Up accanto a Benjamin Mascolo, suo ex fidanzato.
Nel film anche Soo Joo Park (modella e DJ, vista su Netflix in Sense8), Brock O’Hurn (di ritorno dopo Euphoria), Laird Hamilton (Point Break) e Duke Nicholson (Us). Si uniscono così a un gruppo già composto da Julia Fox, Steven Van Zandt, Taylour Paige, Stephen Dorff, John McEnroe, Gina Gershon e Luka Sabbat.
La sceneggiatura porta le firme di Jeff Solomon (The Lineup) e del noto artista newyorkese Vito Schnabel, debuttante al cinema, che ha anche scritto la storia originale. Prodotto da Schnabel, Kaye e Jeremy Steckler (Old Man & the Gun, Fire Squad – Incubo di fuoco), e con George Paaswell come produttore esecutivo, il progetto sembra finalmente pronto a concretizzarsi dopo quasi dieci anni di sviluppo.
In soli otto giorni caotici e segnati dalla privazione del sonno, seguiamo Jack (interpretato dallo stesso Schnabel), un esperto di fitness sfortunato che vive con sua madre a Los Angeles, mentre cerca disperatamente di realizzare la sua personale versione del sogno americano.
“Il film – dice il regista – parla di personalità. Il giorno in cui Vito è entrato in casa mia le nostre vite sono cambiate. Non ha avuto quel giorno l’idea di fare l’attore, ma io l’ho deciso quel giorno, giocando d’anticipo. Ho fatto molti spot pubblicitari in Italia e sono felicissimo di essere a Roma”.
Fa eco Schnabel: “ho iniziato a scrivere il film dieci anni fa a dicembre, in Svizzera. Avevo tempo libero dopo aver aperto la mia galleria, che ora fa dieci anni. In tre giorni scrissi 90 pagine, che poi sono divenute 250 e successivamente ulteriormente ridotte all’attuale sceneggiatura, insieme al mio co-autore Jack Solomon. Si scrive ciò che si conosce, il mondo del cinema l’ho sempre trovato divertente, interessante, una parte imp0rtante della nostra cultura, che determina la nostra salute mentale. Ho pensato a Re per una notte, Zoolander, Tropic Thunder: un case-study su un tipo di personaggio che in molti incontreremo nella nostra vita. Tony ha dato alla sceneggiatura un tocco in più che gli mancava. Il giorno del mio compleanno guardavo Heart of Darkness, il doc su Apocalypse Now, ed è venuta l’idea di raccontare un personaggio che cerca di essere fedele a sé stesso ma anche ai suoi sogni”.
Dice ancora Kaye: “Tutti abbiamo qualcosa da dire, amo l’umanità e le sfide che gli umani devono affrontare per far uscire le proprie idee. Vedo Jack come una specie di supereroe, ho fatto film su tematiche molto profonde. Pur non avendo scritto il film, è il più personale che abbia mai realizzato. Ero dalla parte del protagonista, volevo che Vito Schnabel diventasse più importante di Brad Pitt. Così potremo fare i film più costosi del mondo. Se vi prenderete cura di noi, vi restituiremo un valore di milioni di dollari”.
Dichiara Julia Fox: “Quando ho letto la sceneggiatura ho sempre pensato a Un volto nella folla. E’ un’esperienza umana, tutti prima o poi ci troviamo soli nella cosa in cui crediamo, finché non riusciamo a convincere gli altri. Poi quando ho saputo che Vito sarebbe stato la mia controparte amorosa è stato fantastico, lui è una leggenda a New York, così come Tony, tra gli artisti viventi più brillanti. E’ stato terapeutico e andavo al lavoro felice. Il sogno americano è un’illusione mutaforma, ti può anche convincere che non sei adeguato. Per questo è importante fare arte, che riguarda non il sé ma quello che facciamo. La fama si ottiene oggi a buon mercato, può capitare veramente a tutti, ma quanto dura?”
Prosegue Bella Thorne: “Sono sempre stata un fan di Tony, mentre non so nulla del mondo dell’arte, non conoscevo Vito, e ho imparato così tanto facendo questo film, un’esperienza coinvolgente e unica. I social network sono espressione del sogno americano nel bene e nel male. E’ un continuo equilibrio tra speranza e caduta”.
Naturalmente è anche un grande affresco sul sogno americano: “Era uno dei frammenti nella mente di Vito – dice ancora Kaye – quando dicevo a scuola di essere americano mi dicevano che mentivo. Ho un me un po’ di questo protagonista. Io in America ci sono andato per avere successo, a prescindere dalla mia classe sociale di origine. Vengo da un paese che amo ma sono cresciuto in un rigido sistema di divisioni per classi. Volevo vivere il songo americano. E’ andata ancora meglio di come sperassi”.
“Non sono su instagram – commenta Schabel – e nemmeno Jack usa i social, anche se tramite loro ottiene il successo. Cerca celebrità e nel film le donne sono quelle che lo tengono in vita, continuano a dargli delle chance. Lui nemmeno è consapevole del fatto che ce la sta facendo”.
Nel film anche molti riferimenti italiani, come la citazione di “una piccola città vicino Milano, ovvero Roma. Penso che sia la miglior battuta di tutto il film – scherza Kaye – e poi si mettono a parlare dello stile greco-romano di un cappello. Volevo che tutto il film sembrasse una trasmissione di televendita. Quando l’umanità parla col cappello, è un pensiero per l’arte concettuale. Gli artisti pensano l’opera con una certa concezione ma quando l’opera entra nel mondo, acquisisce autonomia. Quando Vito osserva un’opera d’arte ha uno sguardo laser, è interessante vederlo”.
La conferenza chiude in poesia, con i versi declamati da Kaye e un applauso generale della platea.
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