The Road to Guantanamo


The Road to Guantanamo“Chiediamo che tutti i detenuti imprigionati in violazione dei diritti dell’uomo siano liberati”. Lo affermano con voce ferma i giovani anglopakistani protagonisti del film di Michael Winterbottom e Mat Whitecross in concorso a Berlino, The Road to Guantanamo. Un vero pugno nello stomaco per la platea del festival, un film che arriva proprio mentre riesplodono le polemiche tra Occidente e Islam per le vignette blasfeme. Certo, il palmarès non potrà dimenticarlo, tale è l’eco che ha destato: molta commozione e anche qualche sconcerto, specie tra i reporter americani. Winterbottom, del resto non è nuovo a operazioni che bordeggiano il giornalismo di guerra. Qui ci racconta la storia (vera dall’inizio alla fine) dei quattro ragazzi residenti in Inghilterra, di età comprese tra i 19 e i 23 anni, che vennero arrestati all’indomani dell’11 settembre mentre si trovavano in viaggio verso Kandahar, dopo aver trascorso alcuni giorni in Pakistan per il matrimonio di uno di loro. Sballottati da un carcere all’altro, senza difesa e senza diritti, vennero infine internati nell’inferno di Guantanamo, avamposto americano a Cuba, trattati come bestie, sottoposti a interrogatori assurdi, violenze verbali continue e vessazioni fisiche con lo scopo di “disumanizzarli”. Un’odissea che si è conclusa con la liberazione di tre di loro, mentre un quarto, purtroppo, è sparito nel nulla. Ora tutto questo è diventato un film, tra documentario e finzione, firmato dal cineasta inglese, già autore di un altro potente film di denuncia, In this World.
Proprio oggi l’Onu ha ribadito al governo Usa la richiesta di chiudere la famigerata prigione di Guantanamo, dove sono trattenuti persino dei bambini di 11 anni con l’unica accusa di essere arabi. Tuttavia Michael Winterbottom avverte che il suo film non vuole essere antiamericano. “Lo scopo del nostro lavoro non è quello di identificare i buoni e i cattivi. Vogliamo che tutti vedano quello che è accaduto, per questo speriamo che il nostro documento arrivi in tutto il mondo, dopo essere stato trasmesso su Channel 4 a marzo”.
Il film, interpretato dai veri protagonisti della vicenda e basato sulle loro testimoniaze, mostra con crudezza i metodi di reclusione. Incappucciati e incatenati, rinchiusi in gabbie perennemente illuminate, rapati a zero, i ragazzi sono accusati di essere amici di Bin Laden e Mohammed Atta sulla base di poco attendibili fotografie. “Quello che volevamo sottolineare è la totale discrepanza fra le versioni ufficiali e la realtà dei fatti. Per giustificare l’esistenza di Guantanamo, gli Usa ci hanno sempre raccontato che era destinato a pericolosissimi terroristi. La storia di Ruhel, Asif e Shafiq dimostra il contrario. Erano normali teenager finiti lì per caso”.

autore
14 Febbraio 2006

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