VENEZIA – “Il film è dedicato a loro, agli artisti che non hanno mai realizzato la propria visione” per Brady Corbet, regista di The Brutalist, in Concorso a Venezia81, interpretato da Adrien Brody.
La pancia di lamiera di una nave come un girone infernale e poi ecco la luce, la libertà, la Statua della Libertà, accompagnata dalla voce di Erzsébet Tóth (Felicity Jones), moglie di László Tóth, un grande architetto nel suo Paese, nel ’47 emigrante negli Stati Uniti.
“Mi sono consultato con Jean Louis Cohen, autore di Architecture and Uniform, e il film s’ispira in parte a quel libro: il film è parte della manifestazione del trauma del XX secolo, della psicologia post bellica. Cohen era un esperto e gli avevo fatto un’unica domanda: ‘mi può dare un esempio di qualcuno che è rimasto bloccato nella follia della guerra ma si è poi ricostruito la vita negli Stati Uniti?’. E lui ha detto: ‘no, non ne ho conosciuti’. L’ho trovato spaventoso, perché ci sono così tanti architetti della Bauhaus che avevano tanto talento, e non abbiamo mai visto quello che avrebbero voluto costruire. Questo film è un film immaginario, l’unico modo per me di accedere al passato. Sono molto commosso, è stato molto difficile da fare, sono sette anni che lavoro sul film, che ho sentito ogni giorno l’urgenza di raccontare”, spiega il regista.
L’America accoglie László, disposto e costretto a scrivere la sua esistenza su una tabula rasa, mentre la sua Erzsébet è ancora bloccate in Europa: la famiglia è quella che salva e così accade anche all’Architetto, dapprima accolto a Philadelphia dal cucino Attila, proprietario di un’esposizione di mobili, e proprio colui che comunica a Tóth che la moglie sia viva, come ha appreso da una lettera. Per Jones, “Erzsébet è un po’ come quel treno su cui lei arriva, che va nella sola direzione dell’andare in avanti. È un personaggio forte, ottimista, quindi ho sentito io stessa quell’urgenza, al centro di quello che abbiamo fatto. Una canzone dei Black Eyed Peas dice ‘abbiamo un’unica parola: amore’ e credo sia così anche in questa storia. Le grandi storie d’amore arrivano con un senso di grande urgenza”.
The Brutalist, che naturalmente è un titolo che rimanda alla corrente artistica brutalista, nata negli Anni ‘50 in Inghilterra, vista come il superamento del Movimento Moderno in architettura, è anche un film sull’avveramento del “sogno americano”, seppur la vita di László Tóth, un’eccellenza nel suo Paese, è lì cominciata dal basso, dai dormitori pubblici, dai cantieri edili, dalle file alle mense sociali, ma ecco che poi la vita innesca quel processo di compensazione che restituisce ciò che ha dapprima rubato all’esistenza: l’architetto ungherese, per una concomitanza di casualità, incontra il milionario Van Buren (Guy Pearce), sensibile alla sua formazione artistica, che s’è documentato sul passato di Tóth, tanto da suscitare in lui un’intensa commozione. È da qui che la ruota comincia a camminare con un passo prospettico, tra il pensiero della sua Erzsébet lontana, qualche prostituita a fargli compagnia, l’incontro altrettanto imprevedibile con un avvocato che lavora alla presidenza degli Stati Uniti.
L’architetto László Tóth, invitato a un pranzo natalizio, colto di sorpresa, riceve la commissione di curare la realizzazione di un ambizioso progetto architettonico, lì nell’imponente area della residenza di campagna del personaggio di Pearce, che desidera sia costruito un centro per la comunità, uno spazio polifunzionale, nel nome dell’amata mamma scomparsa. E se nella dedica di questo progetto c’è qualcosa di profondamente intimo, è proprio un’affinità emotiva, oltre all’ammirazione professionale, che porta Van Buren a entrare in sintonia con Tóth.
Per Adrien Brody, “László è un personaggio ben costruito su carta ma allo stesso tempo l’ho immediatamente sentito mio, l’ho compreso. Mia mamma è Sylvia Plachy, grande fotografa che lavora a NY: è fuggita dall’Ungheria, è stata quindi una rifugiata e, come László, ha cominciato la sua vita da capo, ma ha seguito il suo sogno di essere un’artista; capisco molto le ripercussioni di tutto questo sulla sua vita e sulla produzione artistica, e credo sia un parallelo fantastico con la vita e le creazioni di László, e su come la psicologia post bellica influenzi il nostro lavoro e altri aspetti della nostra esistenza. Il film è finzione ma ha un che di molto realistico, e credo questo sia stato importante per me, per rendere reale il personaggio. C’erano le complessità della progettazione architettonica e l’architettura come forma d’arte, connessi al trauma del passato che influenza un artista e, per immergermi in quell’esperienza di vita, affinché influenzasse la mia come attore e come uomo, trasformasse tutto nel personaggio, è servito che tutto confluisse”.
Il film, girato in 70mm, porta sin dal suo annuncio il chiacchiericcio che sia “troppo lungo”, dura 215 minuti, e – a proposito di questo – Cobert commenta: “sono grato a tutte le persone che hanno portato pazienza per tre ore e mezza e credo sia ridicolo parlare della durata del film, perché è come criticare un libro perché è lungo 700 pagine e non 70, la questione è solo l’importanza di quanta storia ci sia da raccontare. L’idea che si debba rientrare in un tempo prestabilito credo sia davvero ridicola, dovremmo superare questa questione. Il cinema è davvero bloccato nel canale del parto e noi dobbiamo assicurare che questo parto abbia luogo”.
La storia di Luigi Celeste e della sua famiglia per il secondo lungometraggio di finzione di Francesco Costabile
Il film racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia, e di come essa perda la pace,nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria
Una selezione di film presentati alla Mostra del cinema arriva nelle sale di Roma e del Lazio dal 19 settembre al 1° ottobre. Tra questi The Brutalist e Ainda Estou Aqui
L'attore è tra i protagonisti del film Vermiglio che ha conquistato il Leone D'Argento-Gran Premio della Giuria all'81esima Mostra del cinema di Venezia