È il tempo dell’appuntamento con la gloria per la Homeless World Cup, il torneo mondiale di calcio dei senzatetto, competizione di calcetto a quattro in cui centinaia di clochard da Città del Capo a Copenhagen, senza esclusione anagrafica o di appartenenza di genere, si sfidano annualmente nel nome della solidarietà e dello sport, con Roma – per The Beautiful Game – sede deputata per la ventesima edizione dell’evento.
La punta di diamante della squadra britannica – allenata dal leggendario Mal, un eccezionale Bill Nighy – è Vinny (Micheal Ward), attaccante e problematico, unica possibile chiave di volta dopo “12 competizioni sostenute, mai una vittoria”, se sarà però pronto a spogliarsi di un po’ di protettiva superbia e a lasciare scorrere il suo passato, per essere davvero parte del gioco. Con lui in squadra, i compagni sono Kevin (Tom Vaughan-Lawlor), timido portiere; il tenero Nathan (Callum Scott Howells), ex tossicodipendente; il brillantissimo Aldar (Robin Nazari, Clark), rifugiato curdo e barbiere; l’ex alcolista Cal (Kit Young), anche lui attaccante come Vinny; e l’infantile Jason (Sheiy Cole).
The Beautiful Game è la storia di una seconda opportunità, un faro luminoso puntato su una realtà sociale pregna di dignità umana; è la speranza di un coronamento prima esistenziale che sportivo, in cui Valeria Golino è Gabriella, co-fondatrice del torneo, amica di Mal, che – accogliendo nella Città Eterna gli atleti homeless da tutto globo, dando riverbero alla sua voce attraverso un megafono – dice loro: “voi state mostrando che la speranza può trasformare le nostre vite, siete un’ispirazione per tutti noi … Voi rappresentate la possibilità di cambiamento, voi rappresentate l’immenso potenziale che ha lo sport di rendere il mondo un posto migliore”.
Il precipizio della vita può sempre essere in agguato, per chiunque, che sia per un azzardo economico, per un imprevisto di salute o per un fallimento famigliare – anche questo racconta The Beautiful Game -, dinamiche che possono poi innescare a catena indifferenza, egoismo, fino addirittura alla cattiveria ma, altrettanto, anche empatia, solidarietà, e il film mette in scena questo effetto domino, senza retorica, senza buonismo, eppure col piglio di quella commedia che, quando davvero completa, porta con sé anche vene di malinconia e, perché no, dramma, ma sempre rispettando il tono primo del genere a cui appartiene, che cammina sulla linea di una consapevole leggerezza, cosa altra dalla superficialità.
L’identità è certamente la protagonista del film, ma – su un altro livello – anche Roma è davvero interprete nel racconto, restituita nella sua bellezza estetica, forse un po’ più prossima all’immaginario patinato dello sguardo straniero che non – purtroppo – vicino alla (non)cura corrente però, da Castel Sant’Angelo alla terrazza del Pincio, la cornice che inquadra questa competizione di calcio di strada, qui nel suo apice, è indubbiamente un’esplosione estetica urbana suggestiva.
Il film, non secondariamente, stimola alla riflessione sociale sul fenomeno dei senzatetto, che sembra essere senza tempo, ma indubbiamente nell’ultimo ventennio s’è andato a incrementare, specchio di un andamento collettivo che sarebbe da rivedere e mettere in discussione: The Beautiful Game sceglie il calcio nella sua accezione più essenziale e edificante – “sola, splendida lingua universale” come Mal lo definisce -, che incarna il riscatto, strumento necessario per Vinny – come per tutti loro – per affrontare il senso del fallimento, punto di partenza per cominciare un capitolo successivo dell’esistenza perché “nessuno può salvarsi da solo, noi ci salviamo a vicenda”, infine afferma lui stesso.
La produzione ha lavorato a stretto contatto con la Homeless World Cup Foundation per il film, diretto da Thea Sharrock e scritto da Frank Cottrell-Boyce, che ha incontrato molti partecipanti alla HWC e ha sviluppato i personaggi ispirato dalle loro storie.
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