The Bad Batch, western distopico con cannibali

C'è un po' di tutto dentro al film dell'americana di origini iraniane Ana Lily Amirpour, The Bad Batch, che fa il verso al El Topo di Jodorowsky


VENEZIA – “Ana Lily Amirpour ha debuttato con A Girl Walks Home Alone At Night. Se la si sventra, dal suo interno escono sangue, budella e idee”. Così recita la scheda autobiografica dal catalogo della 73ma Mostra. Questo per dare un’idea della presunzione di questa autrice, con passaporto americano ma di origine iraniana, in concorso a Venezia 73 con The Bad Batch, opera seconda dopo l’apprezzato (al Sundance) spaghetti western con vampiri A Girl Walks Home Alone At Night.

The Bad Batch (anche qui usiamo una sua definizione del progetto) è “una post-apocalittica love story cannibale ambientata nel deserto del Texas. Molto violenta e molto romantica, come se El Topo incontrasse Dirty Dancing”. Nel film della regista, descritta da alcuni come il nuovo Tarantino, non c’è molto di più. Ovvero tanto cinema già visto e rimasticato, violenza estrema, cannibalismo, molta buona musica (la cosa migliore del film) e un cast in cui spiccano Keanu Reeves e un irriconoscibile Jim Carrey nei panni di un vecchio vagabondo.

La trama: Arlen (Suki Waterhouse) supera la barriera che separa il mondo civilizzato da una no man’s land fuori da ogni giurisdizione. Fa parte del “bad batch”, la partita avariata di umanità che viene prima messa in carcere e poi sbattuta fuori dagli States. Quasi subito viene rapita da un gruppo che si nutre di carne umana – le vittime vengono amputate e mangiate a piccoli pezzi. Mutilata di un braccio e di una gamba, riesce a fuggire nel deserto e arriva a Comfort, una sorta di riserva protetta dove si sta al sicuro. E’ una specie di villaggio western dominato da un capo che spaccia il sogno in forma di pasticche psichedeliche e ingravida tutte le donne in età fertile.

Amirpour rivela di usare molto la musica in fase di scrittura. “Prima ascolto e poi penso al film. Parto proprio da qui, dal personaggio e dalla musica”. Quanto all’evidente aspetto metaforico del film, rifiuta di approfondirlo. “Lo dico nel film cosa penso della società, ci ho messo due anni a scriverlo. Non sono un politico e per me fare film è una cosa molto personale. Di certo, penso molto alla libertà, ma non come idea politica, per me la libertà riguarda i vari sistemi, la società, la politica, la religione, ma anche il mio corpo e le relazioni con gli altri. Cerco di vedere chi sono all’interno di questi sistemi”.

Del suo personaggio la giovane Suki Waterhouse, ex modella e fidanzata di Bradley Cooper, rivela: “Rappresenta Lily stessa, il suo modo di rapportarsi con gli altri. È una ribelle, una che non accetta quello che le viene detto di fare, una outsider, tutti conoscono questa sensazione di emarginazione, ma può essere la cosa migliore che ti possa capitare perché ti costringe a cercare di scoprire chi sei veramente”. Durante la preparazione del film la Armipour è stata per circa un anno nel deserto a contatto con una grossa comunità di persone che vivono fuori dalla civiltà, alcuni di questi li ha usati nei ruoli secondari della pellicola.

Tra i riferimenti del film, il western e in particolare C’era una volta il West di Sergio Leone. “L’ho fatto vedere all’attrice per farle capire come si può comunicare in questo genere”.

Ana Lily Amirpour, infine, si stizzisce nel momento in cui si solleva l’argomento legato alla violenza ‘esibita’: “La violenza c’è in così tante cose. Trovo assurdo che mi si domandi se mi serve metterla nei film. La musica che fa ballare me magari ad altri non dice nulla, non li scuote. C’è qualcuno che vorrebbe eliminare la violenza dall’arte, dai film? Qualcuno che crede che questa violenza sia gratuita? Qualcuno che vuole bandire la violenza dai film? Buona fortuna”.

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