Dopo Showbiz di Luca Ferrari e Filmstudio, mon amour di Ton D’Angelo, la sezione Hidden City della Festa del Cinema di Roma propone un terzo documentario atto a raccontare gli aspetti meno conosciuti della Capitale, Tevere di Massimo Saccares, alla sua prima prova con il cinema. La cultura dei pescatori e dei ‘fiumaroli’, dei circoli di canottaggio e di tutto ciò che si affaccia sulle rive, per un ritratto inedito e approfondito di uno degli elementi più caratteristici della città.
“Tutto è iniziato con un gatto – racconta il regista – che infatti si vede anche nel film. Il fiume era in piena e io ho visto questo micetto in difficoltà e mi sono chiesto se avrebbe trovato da mangiare, per cui sono andato a prendergli qualcosa e glie l’ho portato. Lì ho conosciuto il primo ‘fiumarolo’ della mia vita, parente di Aldo Fabrizi, chiamano ‘er pomata’ o ‘er paino’, per l’abitudine di ingelatinarsi i capelli e vestirsi sempre molto bene. Ho parlato un po’ con lui e ha trovato che il mio gesto di preoccupazione nei confronti dell’animale fosse nobile, per cui mi ha invitato a cena, a mangiare ‘alla romana’. Così sono entrato nel loro mondo e ho ritrovato anche un po’ di mie radici in quell’ambiente che non conoscevo molto. Ho scoperto che mio padre era un nuotatore di fiume, il che richiede una tecnica particolare per gestire la corrente. Ho iniziato con un corto e poi man mano l’ho sviluppato. Ne viene fuori anche un linguaggio dimenticato, misto col ciociaro, ‘prendemio’ invece di ‘prendemmo’, ‘intuìto’ con l’accento sull’ultima i. E poi il modo di personificare il Fiume, con la F maiuscola. Fiume ha fatto questo, Fiume ha fatto quello. Personaggi di grande spontaneità”. Il percorso parte da Roma, va a ritroso e poi prosegue in avanti. “Una vera origine del fiume non esiste. Convenzionalmente, da un centinaio di anni si pensa che sia sul monte Fumaiolo, ma i rigagnoli sono tanti. Mussolini nel ventennio lo spostò sull’Emilia Romagna, con tanto di stele commemorativa. Non ho insistito tanto sul cinema. In Poveri ma belli c’era l’aspetto balneare, le spiaggette. Il Fiume era ‘il mare di Roma’, prima che la gente smettesse di frequentarlo per l’inquinamento, ma soprattutto perché era stata costituita la via del mare. C’erano le donne da una parte e gli uomini dall’altra, allo stabilimento ‘ciriola’. La ciriola è un pesce, che assomiglia a una forma di pane. E gli uomini spesso si mettevano nudi, non perché fossero naturisti ma perché si usava così, tanto le donne stavano da un’altra parte. Anche se magari ci scappava qualche incursione. Ma Accattone è il film a cui sono più legato. Comunque, ho parlato più di poesia. E’ stato lo steso Fiume con il suo decorso lento a suggerirmelo”.
“Confidiamo di poterlo mostrare in sala – spiega il produttore Vincenzo Di Rosa – stiamo lavorando con Cineama, una distribuzione molto attenta al sociale e all’ambiente che ha anche curato piccoli grandi successi come Io sto con la sposa. Probabilmente usciremo dopo Natale. E’ un documentario fruibile per tutti, non solo per i romani. La vita stessa del fiumarolo è un atto poetico. Inoltre ci sono aspetti tecnici interessanti, come l’utilizzo dei droni, che tra l’altro oggi ci sarebbe impedito da alcune normative che sono uscite”. “La tecnologia aiuta – continua ancora il regista – io sono alla mia prima opera. Non avevo scattato mai nemmeno le foto per un matrimonio. Certo sono un appassionato cinefilo e ho sempre guardato i film con occhio accorto e critico, questo sì. Lavoro per un’associazione di volontariato e dato che volevo riprendere delle conferenze ho conosciuto il mio direttore della fotografia, ho capito che il progetto che aveva in mente si poteva fare. Mettendo la mia anima e il mio gusto per l’immagine insieme alla preparazione di ragazzi che conoscono questi strumenti. Ho usato il drone facendo quello che non può fare né un elicottero né una barca, ad esempio volando sotto i ponti. Altre cose le ho realizzate semplicemente col cellulare. Ho catturato immagini come quella del pittore sotto la pioggia o quella della ragazza, probabilmente extracomunitaria, assopita sulla sponda. Poi i miei collaboratori le hanno trasformate in vere inquadrature”.
“Mi piacerebbe farne una specie di seguito – prosegue il produttore – dove si vedano tutti questi aspetti. I circoli di canottaggio sono frequentato per lo più dai ricchi. Sarebbe bello vedere ‘L’altro fiume’. Potrebbe essere il titolo ma lo sforzo sarebbe notevole. Sto cercando di convincere Massimo”.
Immancabile la domanda sull’ultima sequenza de La Grande Bellezza, che è appunto un volo sul Fiume. “Non amo molto il cinema di Sorrentino, sono tutte scene madri e poca sostanza. Per carità, lo rispetto, è una questione di gusti e quelle immagini sono esteticamente bellissime, ma il mio Tevere è un altro”.
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