Tarantino, Morricone e ‘La Cosa’

The Hateful Eight è in uscita con 01 il 4 febbraio in più di 600 copie


Con The Hateful Eight, in uscita il 4 febbraio con 01 in oltre 600 copie, Quentin Tarantino firma il suo film più maturo, completo e meno compiaciuto. Un western che è anche un giallo da camera e una lunga (molto lunga. Sono tre ore e 8 minuti nella versione in 70mm che è stata presentata ieri alla stampa nello Studio 5 di Cinecittà, aperta da una ouverture di Ennio Morricone che firma anche il resto della potente colonna sonora) riflessione sul tema della Giustizia.

Non citazionista come Django o Kill Bill, il film con Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Tim Roth, Bruce Dern, Michael Madsen e Channing Tatum ha comunque in sé, oltre agli evidenti riferimenti ai western ‘sociali’ di Leone e Sollima (e tuttavia con molta meno carica dinamica), anche un legame con il cinema “d’assedio”, di cui uno dei maggiori esponenti è La Cosa di John Carpenter, per cui lo stesso Morricone aveva curato il commento sonoro. E’ lo stesso Tarantino ad ammetterlo: “Ho sempre pensato a questo film come a un versione western de Le Iene e Le Iene era sicuramente influenzato da La Cosa. Il punto, come in quel film, è che nessuno si può fidare di nessuno, e non si sa che si abbia esattamente di fronte. Inoltre c’è la neve e c’è Kurt Russell, che sicuramente potrà confermare. C’è questa tempesta che è esattamente come un mostro che azzannerebbe chiunque provasse a uscire, per cui sono tutti costretti a condividere lo stesso ambiente, e più la tempesta si fa oscura e fredda, più il mostro cresce e più crescono le tensioni tra di loro, che giocano a scacchi con sé stessi come pedine.  In tutti i miei film c’è qualcuno che finge di essere qualcun altro. Ci può riuscire o meno e da questo dipende il suo destino, vivere o morire. Non so perché ci metto questo elemento, ma mi piace e mi interessa. Posso dire che i miei personaggi sono tutti ottimi attori”.  

Sulla similitudine col film di Carpenter Morricone invece tiene a precisare, forse fraintendendo una domanda: “Non vedo proprio cosa ci possa essere in comune, per quanto riguarda la colonna sonora. Nel film di Carpenter io ho composto solo un pezzo, che era elettronico. Altri non erano stati usati e dunque ho detto a Quentin che poteva darci un ascolto. Ma gli spartiti che ho composto per lui sono del tutto diversi. Cambia la timbrica, ci sono i fagotti, le trombe. C’è una drammaticità che si trasforma in ironia. In entrambi i casi ho avuto assolutamente carta bianca”.   

L’uso del formato 70mm permette anche di sfruttare al meglio le profondità di campo: “Considero questo film una pièce teatrale – dice ancora il regista – dato come ho impostato i personaggi non potevo ricorrere a trucchetti che abbreviano i tempi, sono tutti nella stanza ed è quasi in tempo reale. Dato che avevo la possibilità, è come se ci fossero due opere che vanno avanti in contemporanea, quello che si vede davanti, e quello che si vede sullo sfondo. I fuochi si alternano molto agevolmente ed è questo che rende tutto così entusiasmante. Una volta che gli spettatori sono entrati in sintonia coi personaggi, si crea tensione. Si sa che accadrà qualcosa di esplosivo, ma non si sa quando.  Credo di essere bravo ad associare i generi, non sempre lo faccio in maniera conscia. Magari guardo il film finito e mi rendo conto che c’erano elementi a cui nemmeno avevo pensato. In questo caso sicuramente c’erano due elementi che sapevo di voler includere: il western e Agatha Christie. Poi mi sono reso conto di aver fatto anche un horror. Però ne sono felice. Non riuscirò mai a fare tutti i film che vorrei perciò a volte condenso e ne faccio cinque in uno. Sarà contento chi paga il biglietto”.    

Spesso accusato di maschilismo, Tarantino inserisce nel film un personaggio, quello di Jennifer Jason Leigh, che livella in qualche modo quanto fatto finora. Distrutta, imbruttita, sudicia e scorretta esattamente come i suoi compagni, interpreta una criminale condannata alla forca, spesso e volentieri picchiata e maltrattata dal suo aguzzini Russell: “Tutto dipende dal rapporto tra i personaggi – spiega Tarantino – potevo anche metterci un omaccione di centocinquanta chili ma in realtà mi piace che ci sia una donna, perché complica i rapporti tra i personaggi e anche la vostra percezione della vicenda. E’ un bandito, e dunque per chi lo ha catturato non fa differenza. Vuole portarla alla forca viva, perché vale di più, e deve evitare che scappi o che lo aggredisca. Non può che usare insulti e percosse per sottometterla. Non pensavo di fare un film politico quando ho iniziato a scriverlo, però man mano che i personaggi hanno iniziato a parlare tra di loro è venuto fuori un bel quadro di come fosse l’America dopo la Guerra Civile”.     

“Il tema della Giustizia – aggiunge Russell – è molto rilevante, anche se puoi vedere i film di Quentin anche come semplici opere di intrattenimento. Il punto è che tutti, dai più grandi criminali a quelli più insignificanti, devono avere la possibilità di essere giudicati in un regolare processo”.   C’è tempo anche per una riflessione sul razzismo e sulla polemica dell’assenza di candidature rilevanti di personaggi di colore agli Oscar: “Mi spiace che Samuel non l’abbia avuta – commenta semplicemente Tarantino – ovviamente penso che la meritasse. Non hanno invitato neanche me ma, sinceramente, non avrei boicottato. Se mi avessero chiamato sarei andato”. “Sono cresciuto in un ambiente abbastanza retrogrado – dice Michael Madsen – e trovo che questo utilizzo costante della parola ‘negro’ ne abbia in qualche modo sminuito la portata offensiva”.   

La conferenza si chiude con un omaggio proprio a Sergio Leone: “C’è una scena – conclude Tarantino – in cui Kurt, Michael e Jennifer osservano delle catene, ed è inquadrata in un modo che io chiamo ‘il punto di vista di Sergio’”.                      

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28 Gennaio 2016

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