Tarantino: a cena con gli dèi


“Sono abituato a vedere le star americane, ma incontrare faccia a faccia miti della mia infanzia come Ennio Morricone, Gloria Guida, Edwige Fenech, Barbara Bouchet, Sidney Rome per me è un’emozione indescrivibile. Sono volti che per me esistono solo nei film, è come essere a cena con gli dèi”.

A parlare così è un entusiasta Quentin Tarantino, nella Capitale per presentare il suo nuovo film Django Unchained, ‘pseudoremake’ di un classico nostrano di Corbucci con Franco Nero (presente anche lui in conferenza e protagonista nel film di un divertente cameo) e per ricevere, contestualmente, il premio alla carriera attribuitogli dal Festival Internazionale del film di Roma.

 

L’amore di Quentin per il cinema italiano, specie quello di genere, non è certo una novità: Bastardi senza gloria era vagamente ispirato a Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari, di cui rubacchiava il titolo internazionale. Ma come in quel caso, anche qui dell’originale resta poco più che il titolo. “E’ stato come togliere il ‘cappello’ dalla testa di Franco e metterlo al nuovo protagonista, Jamie Foxx – dichiara il regista – Per me scegliere un titolo significa soprattutto ereditare il valore iconico di un certo cinema, di quell’immaginario avventuroso e surreale. Dopodiché, avevo un’altra storia da raccontare”. Una storia che mescola western e blaxploitation, dove Django è uno schiavo nero che, liberato da un sedicente dentista d’origine tedesca, che si rivela poi essere un cacciatore di taglie (Christoph Waltz , ormai attore feticcio del filmmaker statunitense), intraprende assieme a lui un’avventurosa ricerca per ritrovare coloro che hanno rapito sua moglie (Kerry Washington), al duplice scopo di liberarla e vendicarsi. Dovrà vedersela con uno sgradevole schiavista (Leonardo DiCaprio) e soprattutto con il suo servo di fiducia (Samuel L. Jackson) se possibile ancora più ‘bastardo’ (e con molta meno gloria) del suo padrone. Il che ha suscitato polemiche da parte dell’impegnato Spike Lee che, senza aver visto il film, lo ha già bollato di faciloneria e di scarso rispetto per le sofferenze che le prime generazioni di afro-americani hanno subito. Chiaramente, seppur nel pieno spirito citazionista e dissacratorio tipico di Tarantino, il film si muove in direzione decisamente antischiavista, per cui i presenti glissano sulla questione: “Nemmeno ci perderei troppo tempo su – dichiara Foxx – a questo tavolo c’è gente di grandissimo talento e anche se sapevamo di dover trattare tematiche scottanti abbiamo semplicemente cercato di fare il miglior lavoro possibile”. “Dopotutto – aggiunge Kerry Washinghton – che il film faccia discutere è un bene”. “Però, almeno prima vedetelo”, conclude Tarantino.

Archiviata la questione ‘Lee’, si torna a parlare di cinema: “Sapete che amo il western in ogni sua forma – dice ancora il regista – mi piacciono anche i western tedeschi, figuriamoci gli ‘spaghetti’ o ‘maccheroni western’, come li chiamano in Giappone. Mi son sempre detto che, se mai avessi potuto girare un western, mi sarei ispirato a quelli di casa vostra. Non saprei scegliere tra uno dei due Sergio, Leone o Corbucci, il primo si dedicava alle grandi epopee, il secondo a storie più concentrate ed è stato assai più prolifico. Insieme hanno gettato le basi del genere, con i suoi tratti che trascendono la realtà storica, e poi le musiche…”

E la colonna sonora assume anche una certa importanza nel film attuale, pescando temi già noti – quello, celeberrimo, di Lo chiamavano trinità echeggia nell’epico finale – a novità d’autore come il brano Ancora qui, scritto proprio da Morricone (incaricato di consegnare il premio al regista) insieme alla cantante friulana Elisa che lo interpreta in italiano. Non solo: alcune sparatorie sono accompagnate da evocativi brani hip-hop, che abbinano campionamenti southern a un cantato rappato, a indicare che, per quanto citazionista e nostalgico possa sembrare, questo Django è un film del 2013 e si assume tutta la responsabilità di esserlo, senza timore di risultare dissonante o ridondante (dura quasi tre ore) nella rielaborazione degli stilemi del genere.

Quanto allo schiavismo “non è la prima volta che se ne parla in un western – dice Tarantino – ma i precedenti si contano sulle dita di una mano. Ci siamo divertiti a mettere in scena parallelismi, come quello con la saga nordica di Sigfried, che è venuto fuori casualmente, dopo essere stato a teatro con Christopher a vedere i Nibelunghi di Wagner, che conoscevo solo tramite Fritz Lang. Il personaggio femminile si chiamava già Broomhilda per cui il parallelo con Brunilde è venuto spontaneo. Quando scrivi diventi come una calamita, gli elementi sono nell’aria e ti raggiungono”.

“Per me anche il primo Django era un film politico – aggiunge Franco Nero – anche lì si parlava di razzismo, in quel caso verso i peones messicani”.
“A Hollywood – continua Tarantino – hanno sempre qualche difficoltà a fare film con attori principali di colore. Non voglio dire che non accada, ma c’è sempre il timore che il pubblico bianco si senta escluso, che non si identifichi. Se fai un buon lavoro, questo non deve succedere. In ogni caso io ho usato Waltz come contraltare europeo, per raccontare un altro personaggio tipico del western, il ‘mentore’, che insegna al protagonista come si fa il lavoro. E’ un personaggio che pensa di capire il mondo dov’è finito ma ci riesce solo a livello intellettuale, Django invece dopo tutto quel che ha passato lo vive a livello emotivo, e c’è un punto nella trama in cui i due devono scambiarsi il ruolo di capogruppo. Per rendere i personaggi convincenti, oltre alle prove, con gli attori prevedo lunghe session in cui si discuta del passato dei loro personaggi. Non è per il pubblico, è per loro. Sono cose che poi non raccontiamo, ma loro devono saperle per capire esattamente come il loro personaggio reagirebbe alle varie situazioni”.

“Quando lavori con Quentin – racconta Waltz – puoi davvero lasciarti alle spalle l’idea romantica dell’attore che improvvisa sui testi dell’autore e si sostituisce a lui. Le sue sceneggiature sono autentiche opere di letteratura, non ci improvviserei mai sopra, non le cambierei come non cambierei un testo di Cechov, sarebbe come darsi la zappa sui piedi. Abbiamo citato Wagner, inventore della Gesamtkunstwerk, ovvero ‘l’opera totale’, in cui tutto conta nel dettaglio, dalla musica ai testi alla performance al ritmo. Naturalmente l’attore ha una responsabilità forte, è lui a scegliere, nel leggere la sceneggiatura, se può o non può dare un contributo al personaggio. In questo caso la difficoltà stava nel dover parlare di cose molto, molto sgradevoli. DiCaprio doveva dire cose orrende in termini di teorie della razza, ma bisogna farlo in maniera credibile”.

“O il pubblico se ne accorgerà – aggiunge Jackson – la gente può avere reazioni positive o negative ma se stai mentendo, lo capisce. Io ho amato fare il cattivo in questo film. I miei amici e parenti mi hanno mandato messaggi specificando che avrebbero voluto vedere il mio personaggio morto. Significa che ho fatto un buon lavoro. E nel film abbiamo appena grattato la superficie di quello che il razzismo e la schiavitù sono stati davvero”.
Da Kerry Washington arriva la nota d’attualità: “E’ un problema sentito in America, ma non solo lì, direi. Pensiamo un po’ a quello che è appena successo da voi in ambito calcistico, con la squadra del Milan che ha dovuto abbandonare il campo in seguito a cori insultanti nei confronti dei giocatori di colore”.

Le ultime note sono per il cinema italiano di oggi (“mi piace molto Bellocchio – dice Tarantino – ma non ho avuto tempo di guardare tanti film durante la lavorazione di Django“) e per i prossimi progetti, tra cui sembra farsi strada una storia di soldati di colore durante lo sbarco in Normandia: “Forse non sarà il prossimo – conclude il regista – magari il prossimo ancora. Sono a metà sceneggiatura: precisamente, durante lo sbarco non c’erano militari di colore, ma arrivarono dopo, con l’incarico di recuperare i corpi e portarli a seppellire, e di tenere sott’occhio i prigionieri tedeschi. Fatto sta che il razzismo esisteva ancora, anche a quei tempi. Gli ufficiali Usa non si fidavano di loro, così gli fornirono delle pistole, ma scariche”. Il titolo provvisorio è Killer Crow e inizialmente lo spunto doveva far parte proprio di Bastardi senza gloria, nato nella mente del regista come miniserie di 6 ore.

Django Unchained uscirà con Warner il 17 gennaio in 500 copie.

autore
03 Gennaio 2013

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