Claude Chabrol e Isabelle Huppert insieme per la settima volta hanno portato alla Berlinale, in concorso, L’ivresse du pouvoir, un’aspra radiografia del potere tutta giocata sul personaggio di Jeanne Charmant Kilman. Inflessibile giudice istruttore che chiamano il piraña indaga per stroncare una sorta di tangentopoli francese fatta di appropriazioni indebite e corruzione ad alto livello. Primo passo: far arrestare l’amministratore delegato di una società.
Isabelle Huppert è un mostro sacro della recitazione, icona di durezza e fragilità a fior di pelle, Claude Chabrol è un mostro sacro della regia, che dall’alto della sua sconfinata carriera (il Festival di Torino gli sta dedicando un omaggio addirittura biennale) non esita a definire il suo lavoro un gioco del narcisismo. “Nel mio mestiere s’esercita un potere sul niente. Una troupe di una cinquantina di persone è lì per rendere reale quello che tu hai solo immaginato”.
Tuttavia il potere, con il suo fascino perverso e le sue paranoie, è certamente al centro di un film che Chabrol ha scritto insieme a sua moglie, Odile Barski, e che nasconde, dietro a nomi di fantasia tutti giocati sui doppi sensi, chiare allusioni alla corruzione di certe grandi compagnie d’Oltralpe riconoscibilissime per il pubblico francese. “Quando uno, all’inizio di un film, avverte che non c’è relazione con fatti e persone della vita reale, vuol dire che una relazione c’è – sottolinea sapido Chabrol, gustandosi un bel sigaro – altrimenti non c’è neppure bisogno di dirlo”. Ma il plot, via via che l’inchiesta incastona nuovi tasselli, si concentra anche sulla vita privata di una donna che vive la sua femminilità in modo contraddittorio: il rapporto col marito, stanco di essere letteralmente invisibile per la sua compagna, quello con un industriale doppiogiochista che le passa informazioni decisive non senza avvolgerla in un alone di seduzione, quello col più giovane Felix, l’unico capace di godersi la vita perché sa afferrare l’attimo fuggente senza inseguire un qualche delirio di autoaffermazione.
“Chi vive per un’ossessione – chiarisce l’attrice più amata dai grandi festival internazionali – diventa insaziabile e non può non sporcarsi le mani. Ecco perché trovo giusto che Jeanne indossi dei guanti rossi”. Non esita, poi, a fare qualche distinzione tra questo personaggio e gli altri che ha interpretato: “Spesso mi sono imbattuta in donne che si battono contro un potere maschile, stavolta sono una donna che apparentemente ne fa parte, ma che via via si rivela esclusa dalle vere fonti del potere, viene minacciata ed estromessa. Ad un certo punto addirittura la promuovono per neutralizzarla e le mettono accanto un’altra donna magistrato sperando di creare una rivalità tra le due… Tutto questo finché non ritrova il buon senso e decide di ritirarsi, di lasciar cadere la spugna”.
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