VENEZIA – Il debutto con un’opera fondamentale come il Caravaggio di Derek Jarman (1986) – con cui ha poi realizzato 8 film – e da lì una “vita” – e non “carriera” – con il cinema, fino a divenir musa di Guadagnino, Jarmush, Anderson e – ha ammesso oggi pubblicamente – la realizzazione del sogno tanto bramato di lavorare con Pedro Almodóvar, autore alla Mostra con The human voice, opera Fuori Concorso presentata stamattina, a cui l’interprete scozzese ha anticipato una Master Class, dopo la consegna, ieri sera – 2 settembre – del Leone d’oro alla carriera, nell’imminenza del prossimo 60esimo compleanno.
Quasi una creatura di un’altra dimensione, un personale algido e androgeno, non per questo meno passionale, in cui la versatilità mimica e dei ruoli recitati la incoronano certo come un talento del nostro tempo. L’attrice ha raccontato di pensare, ogni volta che interpreta un film, che sia l’ultimo, per poi ritirarsi “a curare il giardino, ma qualcuno mi tenta e torno sul set”.
L’incontro “vis-a-vis” di stamattina era esaurito da giorni, imperdibile, con una Swinton insospettabile quando confessa che “ogni volta che mi presento al pubblico devo superare le mie paure, in genere sono timida” . Commossa nel commentare il Leone di cui è stata insignita, ha desiderato precisare che “nella parola ‘carriera’ io proprio non mi riconosco, vorrei sostituirla con la parola ‘vita’, perché per me l’unico modo di sviluppare il cinema è stato ed è la vita: i registi, gli autori, con cui ho sempre lavorato, sono miei amici cari, facciamo il film ma cuciniamo insieme, cresciamo insieme. E’ stato così all’inizio con Derek Jarman, quando non mi consideravo un’attrice e invece mi ha coinvolto con la sua concezione del performer, del lavoro collettivo, della condivisione, e questo ha definito il mio futuro, io so lavorare solo così”.
Chiamata poi in causa a riflettere su un tema che ricorre in queste giornate di cinema, non solo veneziano, ma internazionale, quello della scelta berlinese di annullare il genere femminile/maschile per l’assegnazione dei premi, Swinton ha il proprio punto di vista, che omaggia Berlino:”Brava Berlino! Un sollievo, una cosa positiva, un fatto di buon senso, e sono sicura che questo diverrà un esempio per altri festival. Gli esseri umani si interessano molto alle divisioni, alle classificazioni, ai compartimenti, credo che invece si stia capendo che non è una direzione giusta. La vita è breve e dividere è solo uno spreco. Non capisco perché debba esserci una soglia per qualsiasi cosa, non riesco a comprendere le suddivisioni”.
Immancabile poi parlare di Luca Guadagnino – dietro la macchina da presa per lei da Io sono l’amore a A Bigger Splash – e della sua concezione di cinema: “Ho conosciuto Luca appena dopo la morte di Jarman e non pensavo fosse possibile ritrovare qualcosa di simile, invece è stato un nuovo fratello e ho capito che è questo che mi muove. Il cinema per me significa sperimentazione e questo non capita solo nei film d’essai ma anche in quelli a grande budget dove magari, come in Cronache di Narnia, si fa un uso mai visto all’epoca degli effetti speciali. E scegliere se accettare o meno un copione per me parte da lì. Io sono innamorata del cinema, lo sono sempre stata, lo indosso persino – mostra la t-shirt vintage del suo Caravaggio – e l’esperienza di andare ad un festival è per me un privilegio enorme”.
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