VENEZIA – Ci sono film di cui ti devi fidare. Opere che, quando le guardi, puoi solo lasciarti trascinare, sapendo che l’autore sa dove ti sta portando. Sundown è una di queste. Presentato in Concorso alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, il nuovo film del regista messicano Michel Franco ruota interamente attorno alla figura di un personaggio, Neil, interpretato da Tim Roth. Quando la sua vacanza familiare in un resort di lusso ad Acapulco viene interrotta bruscamente, Neil decide di restare in Messico da solo. Vittima di una misteriosa e soverchiante apatia, l’uomo si trova a fissare per ore il vuoto, seduto su una sedia di plastica di una spiaggia di un quartiere degradato, i piedi a mollo nell’acqua e una birra in mano. Presto, però, la vita tornerà a scuoterlo, travolgendo ogni cosa.
Il rischio con questo film, soprattutto nella prima parte, è quello di arrendersi alla stessa apatia del protagonista, nella convinzione di trovarsi di fronte a un prodotto privo di idee. Ma la verità è proprio il contrario: Sundown ha poche idee, ma chiarissime, e ogni scelta narrativa e registica porta verso una direzione molto precisa. Quella che sembra un’estrema crisi di mezz’età si trasforma più volte nel corso del film, facendo di Neil un personaggio ambiguo, respingente, che non sembra avere niente per cui andare avanti, ma con cui, alla fine, non si può non intessere un forte legame empatico.
“Acapulco nel film è importante quanto i personaggi. – dichiara Michel Franco – Tutto nasce da lì, è uno dei miei posti preferiti, ci andavo sempre da bambino, ma ora è cambiata così tanto che sono stato costretto a smettere. L’ultima volta che ci sono stato ho avuto una brutta esperienza con dei criminali travestiti da poliziotti, è lì che ho deciso di scrivere questo film. Ci ho messo due settimane a completare la sceneggiatura e per il protagonista pensavo sempre a Tim. Siamo amici da 10 anni e da tempo mi chiedeva di scrivere un ruolo per lui”.
Il film è stato girato lasciando molto spazio e libertà alla troupe, che si è immersa nella realtà complessa e pericolosa di Acapulco, esattamente come fa il protagonista del film. Uno straniero che chiede solo di abbandonarsi alla città. “Avevo vaghe immagini nella mente, – racconta Tim Roth – quelle finte di Dean Martin e Frank Sinatra e poi quello che mi raccontava Michel. Per quanto me ne avesse parlato, nulla ti può preparare a un’esperienza del genere. È difficile spiegare l’energia bellissima e scioccante di questo luogo. Ne custodirò il ricordo per sempre”.
In effetti, ciò che più resta dopo la visione di Sundown è la sensazione di essere entrati in contatto con due anime ferite che si sono riconosciute, da una parte quella del protagonista, dall’altra quella di Acapulco, un luogo ormai devastato dalla criminalità e dalla povertà. “Primo o poi tornerò ad Acapulco – conclude il regista – questo film è stato come una lettera d’amore per questa città. Perché l’amore vero, a volte, può essere anche complicato”.
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