Sully, l’eroe è uno di noi

Una storia di eroismo molto americana, quella che Clint Eastwood ci racconta in Sully, visto al TFF, sottolineando il fattore umano e lo spessore di un pilota sessantenne che domani sarà qui al TFF


TORINO – Eroi e non uomini da rottamare. Come il comandante Chesley “Sully” Sullenberger, il pilota che il 15 gennaio 2009 portò in salvo i 155 passeggeri del volo US Airways 1549 con un ammaraggio di fortuna sul fiume Hudson che aveva del miracoloso. Se avesse seguito le procedure e i libretti delle istruzioni si sarebbe schiantato contro un grattacielo di New York, quasi in una replica paradossale delle Torri Gemelle, ma ascoltò il suo istinto forgiato da 42 anni di esperienza e in una manciata di secondi, 208 in totale, prese l’unica decisione possibile dopo che uno stormo di uccelli aveva messo fuori uso entrambi i motori del velivolo. Una storia di eroismo, molto americana, che Clint Eastwood ci racconta in Sully sottolineando proprio il fattore umano e lo spessore di questo sessantenne – che domani sarà qui al TFF – subito acclamato dall’uomo della strada, ma vittima del sospetto di una burocrazia che si fida più degli algoritmi che delle persone, magari anche per interessi economici non tanto occulti. Già, perché Sullenberger e il copilota (Aaron Eckhart) furono sottoposti a un’inchiesta dal National Transportation Safety Board e dovettero rispondere alle accuse di chi considerava il loro comportamento irrazionale, perché avrebbero dovuto tornare indietro, verso l’aeroporto LaGuardia di New York, da cui erano appena partiti, oppure dirigersi in un altro aeroporto del New Jersey anziché tentare un’impresa mai tentata prima, in pieno inverno, atterrando su un fiume a temperature bassissime. “Se dovessimo rifarlo, lo rifaremo a luglio”, sdrammatizzano alla fine. 


Il film, presentato qui in Festa Mobile e in sala dal 1° dicembre con la Warner Bros Italia, ha avuto negli Stati Uniti un’ottima accoglienza e una tenitura straordinaria. Dopo il discusso American Sniper, Clint imbastisce un film compatto che nella durata aurea di novanta minuti racconta una storia il cui finale è già noto ma che riesce a rendere avvincente, riavvolgendo più volte il nastro per mostrarci di nuovo il momento dell’impatto da diversi punti di vista e anche negli incubi del protagonista. In realtà l’ottantaseienne regista, noto anche per le sue idee repubblicane, costruisce un apologo attorno al personaggio di Sully, reso benissimo da un Tom Hanks in versione invecchiata, con capelli e baffi bianchi. Sully è un uomo serio e onesto, legatissimo alla moglie (Laura Linney), appassionato al suo lavoro e orgoglioso del suo team a cui, nel discorso finale, attribuisce il merito del salvataggio insieme a tutti i soccorritori, dagli uomini della guardia costiera ai sommozzatori, insomma, a un’intera comunità coesa e rivolta allo stesso scopo. L’eroismo non è uno one man show ma un vero gioco di squadra, nella migliore tradizione yankee. E nei titoli di coda scorrono le immagini del vero Sully – autore anche di un libro biografico “Miracolo sull’Hudson”, su cui il film è in parte basato – e dei passeggeri, ciascuno con la propria storia, uniti per sempre da questa incredibile esperienza. 

“I miei valori non sono né repubblicani né democratici né esclusivamente americani, sono i valori umani. Le virtù civiche valgono per gli Stati Uniti ma anche per tutto il mondo”, ha spiegato in conferenza stampa il vero Sullenberger, accompagnato a Torino dalla moglie, che si è molto commossa alla proiezione ufficiale. “Tutto è partito quando Eastwood ha dato il semaforo verde per il film – raccontato ancora Sully – Un giorno ha suonato il mio campanello e ho trovato un uomo cortese, gentile, affabile e riflessivo. Una cosa che mi ha conquistato”. E sulla sua terribile esperienza ha aggiunto: “Avevo pochi secondi per fare la scelta giusta e sapevo, in quanto pilota, che questa scelta sarebbe stata posta al vaglio di una commissione. Una commissione, tra l’altro, a cui avevo anche partecipato in prima persona. Ora non posso dire che sono stato felice di quei 15 mesi di indagine sul mio operato, ma alla fine li ho vissuti con una certa disinvoltura”.

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19 Novembre 2016

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