CANNES – Dopo Grace di Monaco e Mr. Turner, il quarto giorno di Festival è dominato da un altro biopic (e comiciamo a pensare che forse siano un po’ troppi). Si tratta di Saint-Laurent di Bertrand Bonello, diretto rivale del quasi ominomo Yves Saint Laurent di Jalil Lespert, visto alla scorsa Berlinale e uscito in sala con Lucky Red a marzo.
Se quello era pop, scorrevole e televisivo, questo invece delinea la figura del grande couturier scomparso nel 2008 per un tumore al cervello con un taglio sperimentale, raffinato e a tratti pretenzioso, contando molto anche sull’interpretazione forte del protagonista Gaspard Ulliel. Se il film di Lespert si concentrava molto sul rapporto tra lo stilista e Pierre Bergé, suo compagno di vita e di lavoro, questo da Bergé – infuriato dall’utilizzo di abiti non originali – non ha avuto nemmeno l’autorizzazione ufficiale. “Dopotutto – dice il regista Bonello in conferenza stampa – non ci serviva. Anzi, volevamo essere il più liberi possibile di fare il film che volevamo, e così è stato. Non avevamo accesso alle collezioni originali e così gli abiti li abbiamo ricostruiti in Italia. Certo non avevamo intenzione di andare contro Bergé ma volevamo concentrarci fortemente sulla figura di Yves, non necessariamente tracciando un biopic esatto ma parlando di una figura d’artista, e al contempo con un taglio documentaristico che facesse emergere il suo lavoro e le sue contraddizioni”.
Riassunto delle puntate precedenti. Saint-Laurent e Bergé si incontrano a Parigi nel 1957 ed è subito amour fou (così s’intitolava il documentario di Pierre Thoretton sulla celebre coppia). Yves ha appena 21 anni ed è già il direttore artistico della casa di mode Christian Dior, incarico che ha assunto dopo la morte del suo fondatore. Geniale e timidissimo, il giovane artista maudit è destinato a rivoluzionare il concetto stesso di donna, mascolinizzandola. Ma non prima di aver fondato la sua YSL col contributo decisivo di Bergé.
“Nel mio film – continua Bonello – li incontriamo per la prima volta nel 1969. Stanno già insieme da un po’ di anni e già si amano. Yves è ancora giovane e avremo tutto il tempo di scoprire come influirà sulla storia della moda. Verso il finale la pellicola assume tratti atemporali. Saint-Laurent anziano ha il volto di Helmut Berger. Credo fosse l’unico attore in grado di dargli la giusta fisicità, anche se forse è più vecchio di come era effettivamente Yves nel 1989. Ma non importa, serve ad aumentare il senso di dilatazione temporale del film”.
“Il mio lavoro – dice il protagonista Ulliel – è stato di leggere e imparare tutto il possibile per poi dimenticarlo e trascendere i limiti del nozionismo. Volevo diventare Yves, ho lavorato moltissimo sulla voce. Il lavoro di Bertrand mi ha ampiamente supportato. Non saprei descriverlo a parole ma ha molto a che fare con le emozioni. Non si tratta solo di una biografia ma è un vero e proprio dramma. Disegnare non mi è risultato difficile. Lo sapevo già fare e mi è sempre piaciuto. Yves era molto influenzato dall’arte classica e dai pittori. Riguardo alle scene di sesso e di nudo, sono semplicemente parte del mio mestiere. Mi ha spaventato di più mettere a nudo l’anima, esplorando il lato oscuro dell’artista e la depressione”.
Nel cast anche Léa Seydoux nei panni della modella e musa Loulou de la Falaise: “non ne ho fatto un ritratto esatto – dice l’attrice – ma ho piuttosto cercato di attenermi ai suoi colori”. E non manca un’apparizione di Jasmine Trinca, che aveva già lavorato con Bonello in L’Apollonide.
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