Stephen Frears: “Quei maledetti imbrogli, dal ciclismo alla Volkswagen”

Uscirà l'8 ottobre con Videa The Program, il film che ricostruisce la vicenda del ciclista americano Lance Armstrong, per sette volte vincitore del Tour de France grazie al doping


Un eroe dello sport, un benefattore del prossimo, un uomo tanto coraggioso da sconfiggere un cancro micidiale ai testicoli che si rivela uno spregevole impostore. E’ Lance Armstrong, il ciclista texano per sette volte vincitore del Tour de France, dal 1999 al 2005, che fu coinvolto in un clamoroso scandalo per doping, raccontato ora in The Program dopo il documentario di Alex Gibney The Armstrong Lie. Le sue leggendarie vittorie, tutte annullate, erano frutto di un autentico “programma” medico studiato per aumentare i globuli rossi e dunque le prestazioni: un cocktail di farmaci (in particolare l’EPO, eritropoietina), cortisone, testosterone, ormone della crescita, alternati a lavaggi del sangue in occasione dei numerosi test di controllo a cui Armstrong e la sua squadra, la US Postal, risultavano regolarmente negativi. Nessuno sospettava, tranne un giornalista del Sunday Times, David Walsh (nel film interpretato da Chris O’Dowd), autore del libro Seven Deadly Sins – in Italia edito da Sperling & Kupfer – su cui è basata la sceneggiatura. E la verità venne a galla solo quando un ex compagno di squadra, Floyd Landis, decise di spifferare tutto alla US Anti-Doping Agency.

Per il britannico Stephen Frears, dopo The Queen e Philomena, è l’ennesima storia vera raccontata stavolta con stile stringato e grande fedeltà ai dettagli, senza concessioni al romanzesco e con molte scene di repertorio, specie nelle gare. Il film, dall’8 ottobre nelle nostre sale con Videa, ha come protagonista Ben Foster (nel cast anche un’apparizione di Dustin Hoffman nel ruolo di un consulente delle assicurazioni) che per prepararsi al ruolo ha addirittura deciso di provare il doping, sebbene sotto controllo medico: “Quelle sostanze funzionano davvero, il mio corpo cambiava rapidamente e insieme all’alimentazione e all’allenamento costante sono riuscito in poche settimane ad andare ben oltre le mie possibilità. Anzi, la cosa più difficile è fermarsi, tornare alla normalità”. Foster ha tentato anche di contattare Armstrong, che però ha rifiutato di parlargli. “Non lo vedo come un mostro – dice ancora l’attore americano – in quel pericolo storico, a cavallo tra gli anni ’90 e i 2000, quasi tutti i corridori erano dopati. E Lance è anche l’uomo che ha raccolto mezzo miliardo di dollari per la ricerca sul cancro e l’ha fatto sinceramente, quindi non credo che fosse solo negativo. Penso che il film sia piuttosto un atto d’accusa contro la cultura in cui Lance Armstrong è venuto fuori”.

Frears, cosa sapeva di Lance Armstrong prima di fare il film?
Niente, quello che avevo appreso dai giornali. Poi ho letto The Secret Race, il libro di Tyler Hamilton, un ciclista che era nel team di Armstrong e che si è dopato con lui e spiegava come fossero disposti a qualsiasi cosa per vincere. E’ pazzesco che ci sia un atleta che per sette anni ha rubato il titolo di campione. 

Crede che Lance Armstrong abbia visto il film? L’ha incontrato mentre lavorava al progetto?
Non so se l’abbia visto, io non ho mai cercato di avvicinarlo, sarebbe stato inutile. E’ un bugiardo, un manipolatore, uno che vuole esercitare il controllo su tutto. Certo non avrebbe gradito il film così com’è e non avrebbe avuto senso coinvolgerlo.

Il film parla di corruzione e manipolazione dell’opinione pubblica – addirittura l’unico giornalista che cerca di vederci chiaro viene isolato dai colleghi – e il tema è più che mai attuale. Non solo nello sport si imbroglia, pensiamo al caso Volkswagen.

Certo, leggiamo di tanti casi estremi, si tratta di una corruzione megagalattica, sembra un romanzo ma è la realtà, se solo ti soffermi a osservare questi fenomeni. Voi italiani lo sapete bene, io ho imparato tutto da registi come Francesco Rosi e da film come Le mani sulla città o Il caso Mattei. La parola omertà è italiana se non sbaglio e anche la parola mafia. 
 
Come spiega la psicologia di Lance Armstrong, una mente machiavellica, ma anche un uomo accecato dalla sua ambizione che fa l’errore di tornare alle corse quando ormai potrebbe incassare le sette vittorie al Tour de France e riposare sugli allori?
Non ho letto Il Principe di Machiavelli, ma penso che contenga molti spunti per comprendere questi comportamenti in generale. Quanto a Lance Armstrong era molto intelligente e molto stupido allo stesso tempo. È riuscito a sopravvivere al cancro, faceva beneficenza con la sua Fondazione Livestrong, però era anche corrotto e autolesionista. Non mi spiego la sua psicologia ma, come diceva Orson Welles, non tutto si può spiegare con la psicologia. Diciamo che ha incontrato la tentazione e non ha saputo resistere.

Ha scelto di non mostrare la sfera privata di Lance.
Non so molto della sua vita privata se non che è stato sposato, ha avuto tre figli, ha divorziato e si è messo con Sheryl Crow. Non volevo fare un biopic ma una crime story, quindi mi sono concentrato su questo aspetto. Forse sarebbe stato interessante capire se le mogli di Lance sapevano del doping. 

Cosa sa di Michele Ferrari, il medico italiano che mise appunto il “programma” e che nel film è interpretato dal francese Guillaume Canet?
So solo che lo chiamavano Nosferatu. Non credo che il film gli farà piacere.

Oggi il ciclismo è cambiato, i controlli sono molto più attendibili.

Le velocità si sono ridotte. Se parli con i ciclisti ti dicono che quelli erano tempi terribili, il periodo nero del ciclismo.

Nei suoi film ricorre spesso la figura del giornalista, in questo caso vediamo un cronista che fa il suo lavoro e che viene isolato da colleghi che cercano di non mettere i bastoni tra le ruote al manovratore.
E’ vero, voi giornalisti siete un disastro! David Walsh era uno che non credeva semplicemente a quello che gli veniva propinato e cercava di capire, era scettico. Investigare, porre domande, è questo il compito della stampa. Ma in Gran Bretagna non è esattamente così e si vede anche, forse soprattutto, in campo politico.

Lei continua a occuparsi di personaggi realmente esistiti, come mai?
E’ vero, il mio nuovo film parla della peggiore cantante lirica che si sia mai esibita al Carnegie Hall, Florence Foster Jenkins. Perché parlo di personaggi reali? Forse perché non mi sono mai considerato un autore e per questo ho fatto sempre film diversi. E se racconti una storia vera, il pubblico ha più facilità a entrare in sintonia. 

Trova qualche somiglianza tra Muhammed Alì e Lance Armstrong?
No, Cassius Clay era vero, non mentiva. Direi che è stato l’opposto di Lance.

Come avete scelto i materiali d’archivio?
Al Tour de France hanno tutto, ogni singola inquadratura delle corse. Ma non ci hanno permesso di vedere tutto, piuttosto ci hanno fornito gli spezzoni che abbiamo chiesto noi, il particolare la scalata al Sestriere.

Non pensa che il film servirà a rinverdire il mito di Lance Armstrong?

Già, forse non avremmo dovuto farlo

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