Stefano Savona a Bergamo nel dramma della pandemia

Sarà presentato in anteprima mondiale al 73° Festival di Berlino, in Concorso nella sezione Encounters, il film documentario Le mura di Bergamo di Stefano Savona


Sarà presentato in anteprima mondiale al 73° Festival di Berlino, in Concorso nella sezione Encounters, il film documentario Le mura di Bergamo di Stefano Savona, realizzato con il supporto di Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante.

Le mura di Bergamo è stato anche selezionato fra i 20 documentari – scelti trasversalmente fra le sezioni Competition, Berlinale Special, Encounters, Panorama, Forum, Generation e Perspektive Deutsches Kino  – in lizza per il premio Berlinale Documentary Award, che sarà consegnato durante la cerimonia di premiazione ufficiale al Berlinale Palast il 25 febbraio.

Il film, una produzione ILBE – Iervolino & Lady Bacardi Entertainment con Rai Cinema, racconta l’arrivo della pandemia di COVID-19 in Italia, in particolare a Bergamo: una città che, come un unico organismo, si scontra e reagisce al virus, rendendo la maglia di connessioni tra le vite degli abitanti ancora più stretta e forte. Nel marzo 2020 la città, dentro le sue mura, è un corpo malato. È un insieme di cellule, di tessuti, di organi che non riescono più a comunicare. Le strade si sono svuotate, gli scambi azzerati, gli incontri proibiti. Disconnesso dagli altri ogni corpo è solo all’interno delle sue mura. Il corpo della città è un organismo devastato che prova a reagire. Medici, infermieri, pazienti, volontari, e anche chi non ha vissuto direttamente il dolore della malattia cerca un proprio ruolo nel processo di guarigione collettiva. Raccogliere e raccontarsi le storie di chi non c’è più diventa una maniera per rielaborare il lutto privato e collettivo e per ragionare sul bisogno di una nuova ritualità della morte.

Le mura di Bergamo è un film che crea connessioni tra memoria e futuro, per accompagnare questa collettività, lungo le prime fasi della paziente opera di ricomposizione di quel tessuto intimo, familiare e sociale, che la pandemia ha lacerato. Il protagonista di questa storia è la città, un corpo sociale che, come ogni organismo vivente, è costituito innanzitutto dalle infinite connessioni tra le sue parti. Le parole, gli sguardi, i gesti, i silenzi che questa narrazione testimonia sono un tentativo di rendere conto di qualcuna di queste connessioni, con la speranza che, rendendole visibili, il racconto cinematografico possa contribuire a consolidarle.

“Tre anni fa con un gruppo di giovani registi che erano stati miei studenti alla scuola di documentario del CSC Palermo abbiamo attraversato un’Italia deserta per arrivare a Bergamo nel mezzo di una crisi mai vista – commenta il regista – In punta di piedi abbiamo iniziato a filmare le vite di chi, rischiando in prima persona, cercava di affrontare la catastrofe che ci stava investendo tutti. La nostra scommessa è stata quella di restituire i movimenti di una comunità in resistenza. Ogni sera ci riunivamo a riguardare le immagini raccolte, cercando di ritrovare i raccordi invisibili che le univano, di cominciare a riannodare i fili delle storie che la pandemia aveva provato a cancellare. Per altri due anni siamo tornati a Bergamo per raccontare il rituale collettivo di elaborazione del lutto e di costruzione della memoria che avevamo visto nascere e di cui questo film-memoriale si vuole fare portatore”.

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07 Febbraio 2023

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