Stefano Calvagna: “Io, ultras della prima repubblica”


Se c’è qualcuno che ha le credenziali per raccontare il mondo del tifo estremo, quello è Stefano Calvagna.
Formatosi da giovanissimo all’Actor’s Studio di New York, e poi come assistente di regia sul set del serial Beverly Hills 90210 a Los Angeles, l’interprete e autore de L’Ultimo Ultras, distribuito da Poker Entertainment dal 4 settembre, ha militato in prima persona tra le fila delle tifoserie della Lazio, tra gli anni ’80 e i primi ’90.
Ma il film si presenta soprattutto come una storia di redenzione, che a partire da un gesto violento – l’uccisione, da parte del protagonista, di un ragazzo durante un tafferuglio – racconta il dramma di un uomo che scambia l’assunzione delle sue responsabilità con una vita da latitante.

Rispetto alle precedenti opere sul tema, tra cui spicca Ultrà di Ricky Tognazzi, del 1990, la pellicola di Calvagna si sforza di rendere la dimensione umana del tifoso estremista, analizzandone i sentimenti e le riflessioni, descrivendo il suo modo di vivere, di crescere e di amare.

“Ho usato dei tratti neorealistici – dichiara il regista – questo mondo è complesso e non può essere raccontato solo da veline e showgirl. Per questo ho scelto di utilizzare degli ultras autentici, anche se non faccio riferimento a nessuna squadra realmente esistente. Il film di Tognazzi si riferiva esplicitamente ai supporter della Roma e in qualche modo istigava alla violenza, tanto che i tifosi lo criticarono aspramente. Nel mio film la violenza non viene motivata scaricando le colpe sulla società, ma resta una responsabilità individuale, che riguarda solo e soltanto il tifoso.”
Calvagna esprime questo concetto in un autobiografico dialogo con il padre, in cui racconta di aver sentito nascere in sé la paura, origine dell’aggressività, dopo aver assistito a uno scontro sfrenato nel corso di una partita a cui lo stesso genitore lo aveva accompagnato.
La violenza, insomma, come “culturalizzazione” della paura.

Non senza ambiguità. Don Mazzi, presente in conferenza stampa, nell’esprimere il suo apprezzamento per la pellicola non ha potuto fare a meno di esternare qualche dubbio: “Penso che il film dovrebbe essere proiettato negli istituti scolastici, ma il rischio è che le scene degli scontri risultino per i ragazzi più incisive e affascinanti di quelle in cui si lancia un messaggio positivo.”

Calvagna, dal canto suo, non si nasconde dietro a un dito: “Le ho fatte senza maestri d’armi, perché non avevo il tempo, né i soldi, né la voglia. Detesto tutto ciò che è falsato, per cui, dato che avevo a disposizione dei veri ultras, ci siamo picchiati per davvero. Del resto una sana scazzottata può essere l’inizio di una bella amicizia. Ai miei tempi si arrivava al massimo a qualche bastonata”.
Calvagna, che si definisce un “ultras della prima repubblica”, esprime però il massimo disappunto per l’utilizzo dei coltelli e per le ‘sciacallate’ gratuite nei confronti di tifosi inermi.

“Questo è il senso dell’aggettivo ‘ultimo’ nel titolo. Il mio personaggio si rende conto che è rimasto il solo a pensarla in un certo modo, che la sua generazione di tifosi sta per passare in secondo piano. Quando si va allo stadio ci si va per tifare. Tutto il resto, politica compresa, dovrebbe restare fuori”.

Il regista non si intimorisce nemmeno quando qualcuno gli fa notare che il nome della sua squadra fittizia è “Brigata Gladio” e che il suo personaggio nel film porta un tatuaggio che sembra ritrarre Mussolini.
“Ma quale Duce !  – risponde prontamente – quello è Sturmtruppen, il mio fumetto preferito. Mentre il nome della squadra me lo hanno suggerito alcuni ragazzi a cui ho chiesto consiglio”.

Accanto allo stesso Calvagna nei panni del protagonista, il film vede recitare Francesca Antonelli, Rossella Infanti e Giancarlo Lombardi, leader della tifoseria milanista.
C’è inoltre la partecipazione, in una scena clou, del calciatore Andriy Shevchenko, scelto per rappresentare il “calcio pulito”.
“Noi rischiamo la pelle per voi – gli dice il protagonista – e a fine dei giochi nemmeno ci salutate.”
Come a dire: una maglietta regalata alla fine del match, magari accompagnata da scuse se la partita è stata mal giocata, può a volte placare la rabbia insita nell’animo del tifoso.

Quando gli si chiede poi cosa ne pensa della “tessera del tifoso”, l’ultima proposta del Ministro Maroni per contrastare la violenza negli stadi, Calvagna dice forte e chiaro: “Non serve a niente. Anche perché la violenza, ormai, è soprattutto fuori dagli stadi. Farne dei fortini è sbagliato.”
Ribadendo di non frequentare da molto il mondo delle tifoserie, il regista racconta di quando il rapporto era spontaneo e limpido: “Facevamo la colletta con le scatole da scarpe per comprare i fumogeni e andare in trasferta. Non c’erano cose come ‘cento sciarpe per cento tifosi’. Ma oggi come oggi sono proprio le iniziative come la tessera del tifoso, i tornelli, nonché i costi elevati e l’avvento della Pay tv ad allontanare la gente dagli stadi. Ed è un peccato. Il tifo dovrebbe venire prima di tutto”.

autore
31 Agosto 2009

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