‘Spaccaossa’: in sala con Luce Cinecittà il lato estremo della povertà

Da incredibili fatti di cronaca è tratto il film di Vincenzo Pirrotta in sala il 24 novembre


Fino a che punto siamo disposti a mutilarci per ottenere ciò che vogliamo? È la domanda che si pone Vincenzo Pirrotta, regista, protagonista e sceneggiatore, insieme a Ignazio Rosato e al duo Salvo Ficarra e Valentino Picone, di Spaccaossa, film rivelazione delle Giornate degli Autori (qui l’articolo da Venezia), che sarà nelle sale italiane dal 24 novembre, distribuito da Luce Cinecittà.

All’origine del film c’è un fatto di cronaca: in un magazzino fatiscente, in Sicilia, vengono frantumate braccia e gambe di persone consenzienti, allo scopo di simulare finti incidenti stradali per riscuotere gli indennizzi delle assicurazioni. Uno spunto forte da cui si parte per poi scavare nell’anima nera dei personaggi e raccontare un inferno popolato da esseri miserabili pronti a mutilarsi per pochi soldi, che porta alla luce una parte oscura della periferia di Palermo, fotografata splendidamente dal direttore della fotografia Daniele Ciprì.

“La cupa vicenda degli Spaccaossa – racconta il regista – mi accompagna da quella mattina in cui una notizia di cronaca del giornale radio dell’alba ha conquistato i miei pensieri arrivando ad assumere le fattezze di un cancro da espellere. Per farlo sentivo forte la necessità di raccontarlo. Intanto perché avveniva nel ventre molle di Palermo, la mia città, con tutto il suo feroce incanto, e poi perché man mano che mi addentravo nella storia di cronaca, dapprima per curiosa voglia di sapere e poi con il bisogno di sfogliarne i sostrati, avvertivo sempre più in me la sensazione di compiere una discesa agli inferi”.

Nel cast, al fianco dello stesso Pirrotta, troviamo Selene Caramazza, Ninni Bruschetta, Giovanni Calcagno, Filippo Luna, Aurora “Rori” Quattrocchi, Simona Malato, Maziar Firouzi, Filippo Luna, Rossela Leone e Luigi Lo Cascio.

Il film è stato prodotto da Attilio De Razza e Nicola Picone per Tramp Limited, con Rai Cinema con il contributo di Regione Siciliana-Assessorato Turismo Sport e Spettacolo, Sicilia Film Commission, MiC- Direzione generale cinema e audiovisivo, Agenzia per la Coesione Territoriale, Sensi Contemporanei.

“Ho sentito la necessità di raccontare la storia – dice ancora Pirrotta – quando ho ascoltato per radio le notizie che mi hanno colpito per la doppia miseria di tutta la vicenda. Una miseria travestita di cinismo e di disperazione. Da un lato chi sfrutta i disperati per truffare le assicurazioni, dall’altro coloro che accettano di farsi spaccare le ossa, una miseria che va oltre il bisogno e il guadagno della sopravvivenza, ma ha a che fare anche con la subcultura tipica delle periferie, cioè la cultura del salvare le apparenze, come nel caso del ludopatico che lo fa per alimentare il suo vizio o del padre che accetta di farsi mutilare per la festa di comunione della figlia. La domanda diventa metafisica: cosa siamo disposti a sacrificare per ottenere uno scopo, anche solo a livello di dignità personale? Il tutto avveniva nel ventre molle della mia città”.

Circa la sua prova d’attore dice invece: “Volevo bocciarmi al provino. Ci ho provato fino all’ultimo, mi sembravano troppe responsabilità, ma poi gli sceneggiatori mi hanno convinto: la storia nasceva da me, e con il grande lavoro fatto sul set ci siamo riusciti, non senza fatica. Avevo anche una controfigura, un attore molto bravo, ma dopo la prima settimana ho deciso di fare da solo. Dopo ogni ciak correvo a rivedere la scena, non volevo fare neanche un’ora di straordinari, anche se tutti erano disponibili. Avevo il massimo della libertà, ma è stato comunque molto faticoso, in cinque settimane totali di riprese”.

Dice Enrico Bufalini per Luce Cinecittà: “Esce in circa 40 copie in un momento denso di uscite, è un film per noi importante anche per il suo approccio molto reale, noi ci occupiamo anche di documentari e abbiamo apprezzato molto le sue doti realizzative, lo difenderemo col massimo sforzo”.

Prosegue Samantha Antonnicola di Rai Cinema: “abbiamo pescato già da trattamento la qualità del film. Abbiamo fatto un vero salto sulla sedia, per come descrive la miseria umana e il livello a cui riesce ad arrivare. Vittima e carnefici sono sulla stessa barca e si scambiano i ruoli tra loro. Inoltre era un’opera prima, avevamo immensa fiducia nel parterre di sceneggiatori e regista, e la messa in scena è stata chirurgica ma anche estremamente empatica, senza sbavature. Lo struggimento era già chiaramente visibile dal trattamento”.

Commenta Attilio De Razza di Tramp Limited: “Abbiamo pensato che ci mancasse l’opportunità di entrare in contatto con Rai e in questo senso siamo andati diretti, abbiamo messo in piedi la nostra opera prima, prima che nascesse il connubio Rai/Medusa su La stranezza. L’operazione è andata in porto grazia anche all’intervento di Luce Cinecittà”.

“Ci siamo messi dalla parte del pubblico  – dicono Ficarra e Picone – cercando di non cadere nel ‘tascio’, nel tamarro, nel coatto. Solo per una volta noi vediamo la rottura di una gamba, Abbiamo capito che il fatto usciva dalla cronaca e diventava un paradigma, già di per sé, leggendolo sui giornali. Vincenzo ha saputo cogliere questa particolarità e ci siamo fatti carico della cosa anche produttivamente, mettendo a disposizione la fotografia di Ciprì che si è subito entusiasmato, e ha lavorato più che sulla città, sullo stato d’animo dei personaggi. Arrivi a capire dove si può arrivare per fame o per necessità d’apparenza, ma sono tutti aspetti della nostra società. Il film parla a tutti, anche se non fa sconti, ti tiene compagnia. Esci dalla sala e continui a pensarci. Non si giudicano i personaggi, come non lo abbiamo fatto noi e gli attori, si tende più ad affezionarsi a loro per quanto siano brutti, sporchi e cattivi”.

Ficarra in particolare spiega: “Ho un amico che lavorava in ospedale, cosa scoperta dopo aver fatto il film, e mi ha raccontato di come sia stato lento il processo di consapevolezza circa la vicenda. Arrivavano in continuazione persone con le braccia e le gambe rotte e a un certo punto avevano finito il gesso. Si sono resi conto successivamente del problema, lui stesso aveva fatto un esposto alla procura per segnalare la particolarità della questione. Lo Stato per i nostri personaggi è così lontano che nemmeno è contemplato, è un modo di arrangiarsi giornalmente in autonomia. Ma si trascinano nel baratro l’un l’altro. Vincenzo potrebbe aggrapparsi a Luisa per tirarsi fuori ma invece tira giù lei”.

“C’è anche una certa connivenza – aggiunge il regista – ma a me interessava più raccontare le storie singole dei personaggi. Tutti hanno famiglia. A un certo punto viene fuori il mostro, anche da piccole cose. Nei rapporti familiari morbosi, ad esempio, alle sottomissioni familiari e alla banda. Il mio protagonista potrebbe diventare un eroe, ma è un uomo senza qualità. Vincenzo ha l’occasione per redimersi ma non lo fa, torna nell’alveo della sua nullità. C’è un momento del film che chiamo il ‘porcile’, dove tutti sono colti nella loro intima lascivia, prima della morte della vittima. Volevo puntare il dito contro lo spettatore e dirgli ‘ditemi se quello che vedete non è dolore’. E lo commentiamo con la voce di Giuni Russo, anche lei palermitana, forse troppo presto dimenticata”.

“Conoscevo la storia – dice l’interprete Caramazza – ma non in maniera dettagliata. Mi sono appassionata leggendo la sceneggiatura perché è raccontata in maniera vera, intensa, senza risparmiarsi. Lavorare su personaggi così ambigui, oscuri e marci dentro ti porta immediatamente all’interno della storia, è stato un flusso. La mia Luisa è sempre in bilico, sul filo del rasoio. Si abbandona a una speranza che trova in Vincenzo, ma proprio in quel momento ricade in un baratro ancora più grande”. 

Una domanda è dedicata al destino delle sale, per Ficarra e Picone come produttori: “E’ difficile – commentano – si possono dire molte cose. Possiamo solo dire che quando abbiamo cominciato a fare cinema stavamo sempre attenti a non sprecare la pellicola. Non scomodiamo il cinema se non abbiamo l’urgenza di raccontare una storia. Se noi negli occhi di chi ci racconta la storia leggiamo l’urgenza noi pensiamo sempre di doverlo fare. E’ come fare la pipì. Non c’è un solo film che abbiamo fatto perché veniamo da grossi guadagni o altro. Lo facciamo per i film che realizziamo e per quelli che produciamo. Lo spettatore riconosce la sincerità. E’ pieno di storie urgenti, i produttori devono diventare sempre più bravi a sceglierle. Il successo non è solo la sala ma anche l’emozione che si suscita nel singolo. Forse si potrebbe pensare a una politica di differenziazione dei prezzi, magari a seconda della notorietà degli attori, come a teatro. Magari ragionare per un’educazione scolastica al cinema italiano. I ragazzi guardano film di registi americani che si sono ispirati a registi italiani”.

“I personaggi camminano sull’orlo di un baratro – chiude Pirrotta – il racconto è una discesa agli Inferi. Uno dei riferimenti letterari che tengo particolarmente presente è Anna Maria Ortese con il suo ‘Il mare non bagna Napoli’, un viaggio all’Inferno senza speranza”.

Prevista anche il 23 novembre al Farnese un’anteprima romana.

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14 Novembre 2022

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