Sorrentino conquista col suo romanzo sul niente


CANNES – Comincia con una citazione di Viaggio al termine della notte di Céline, La grande bellezza, il nuovo, atteso film di Paolo Sorrentino che il Festival di Cannes ha accolto con risate e applausi in concorso due anni dopo This must be the place. Ed è profondamente “à la Céline” lo spirito del viaggio senza meta di Jep Gambardella, il protagonista decadente e solitario, sebbene sempre circondato da mondanità sovraeccitate, perso in un fiume di gin tonic fino all’alba e in conversazioni ripetitive, futili o velenose di forzati del divertimento che sono lo specchio non solo degli ultimi vent’anni di storia italiana ma di una vanitas vanitatum ben più universale e corrosiva. Del resto è stato proprio lo scrittore francese ad aver detto che “il viaggio è la ricerca di questo niente assoluto, di questa piccola vertigine per coglioni”. Romanzo sul niente, dunque, come direbbe Flaubert, altro nume tutelare di questa grandiosa avventura scritta con Umberto Contarello. E ancora apprendistato alla morte (perché il senso di morte lo pervade fin dalla prima scena e la pellicola è dedicata al giornalista e amico Giuseppe D’Avanzo). E’ come se la morte facesse più effetto in una città bella e indifferente come Roma, una città cafona ed eterna, plebea e papalina, fintamente accogliente per i provinciali di ogni epoca che vi approdano. Dolce vita dei nostri tempi, dunque, come si è già detto spesso, e i punti di contatto con Fellini ci sono tutti. Ma chiarisce Sorrentino: “Certo, Roma e La dolce vita sono opere che non si possono ignorare quando si fa un film come quello che volevo fare. Sono due capolavori e i capolavori bisogna conoscerli ma non imitarli. Cambiano la nostra percezione delle cose, ci condizionano nostro malgrado. Non posso negare che siano indelebilmente stampati in me e che mi abbiano guidato”.

 

Non è Marcello, però, Jep Gambardella, ennesimo ritratto della surreale galleria creata da Sorrentino con la complicità di Toni Servillo a partire dal loro primo film insieme, L’uomo in più e fino al Divo (premio della giuria qui a Cannes). Il film che con la sua estetica pop, il ritmo concitato e musicale, la descrizione dell’orrore della politica, il sentimento incombente del disfacimento, sembra essere tanto vicino all’universo narrativo e stilistico della Grande bellezza.

 

Scrittore di un solo libro, “L’apparato umano”, che tutti ricordano e che pesa come un maledizione dolceamara, Jep è vissuto sugli allori di quell’opera per quarant’anni. Adesso ne ha 65 e ancora scambia il giorno con la notte, ancora seduce donne plastificate e tristi, intervista personaggi irrilevanti e futili, osserva prelati corrotti e signore radical chic, artisti mancati e nobili decaduti, cocainomani e adepti della religione del botulino. Tutto in lui e attorno a lui è un bluff. Ma Jep almeno è salvato dall’intelligenza, dall’autoironia, dal fin troppo lucido cinismo che come una seconda pelle aderisce alla prima. Grande seduttore e creatore di aforismi, già da adolescente poteva vantarsi della sua originalità preferendo l’odore della case dei vecchi alla “fessa”, scelta invece da tutti i suoi coetanei. Poi è arrivato a Roma con l’ambizione di conquistarsi il potere di fare, letteralmente, il guastafeste.

 

Rovinare quelle feste esagerate su terrazze esagerate anch’essa, con panorama sul Colosseo. Terrazze che rimandano direttamente a Ettore Scola e alla sua capacità garbata di “guardare con disincanto alla meschinità di certa borghesia romana”. Le feste in cui incrociamo l’immensa, inestimabile sfilata di maschere che Sorrentino ci regala con questo film spietato e al tempo stesso pieno di umana pietà che proprio a Scola è tanto piaciuto. Il timido Carlo Verdone, teatrante fallito sfruttato fino all’osso da un’attricetta opportunista che non gliela darà mai, la snob e ricchissima Isabella Ferrari che fotografa se stessa e si posta su facebook compiaciuta, l’ipocrita Galatea Ranzi, che nasconde dietro le buone intenzioni lo sfacelo della sua vita privata e la sua mediocrità artistica, la spogliarellista attempata Sabrina Ferilli con il suo doloroso segreto e il suo cuore ancora innocente, l’unico che sembra poter toccare Jep.

 

La grande bellezza arriva in concorso e nelle sale il 21 maggio con Medusa insieme alla sua colonna sonora, che fonde le due anime musicali di un film dove la musica, come sempre nel cinema di Sorrentino, gioca un ruolo fondamentale fin dalla prima scena. Musica sacra in un mondo dove di sacro non c’è davvero più nulla. Come ci mostra il surreale incontro finale con Suor Maria, incartapecorita icona di santa di strada che non può fare davvero miracoli.

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20 Maggio 2013

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