Il dibattito sulla crisi del cinema italiano continua. Dal punto di vista del Dipartimento dello Spettacolo, com’è la situazione, in che misura è legata all’attuale legge sul cinema, e che cosa si può fare?
Crisi del cinema italiano? Cominciamo intanto col dire che quest’anno abbiamo avuto un grande successo non solo di critica ma anche di pubblico con Pane e tulipani di Silvio Soldini che era stato prescelto per il fondo di garanzia e ha vinto anche ben 9 David di Donatello, e che, almeno per adesso, è già a 3 miliardi e mezzo di incassi e continua la sua ascesa. Con il rilancio che sicuramente ci sarà grazie alla Quinzaine di Cannes potrebbe arrivare anche a 5 miliardi. Ma comunque, in generale, questa è una stagione che ha visto diverse cose nuove, come ad esempio La CapaGira che pure ha avuto un buon riscontro. Anche Mimmo Calopresti sarà a Cannes con Preferisco il rumore del mare e a Venezia avremo altri film interessanti: ancora non sono noti i nomi ma per settembre saranno pronti i nuovi film di Salvatores, Tornatore, Moretti, Archibugi, Torre.
Quindi la famosa crisi di cui tanto si parla è in realtà legata a un’incapacità di tutta l’Europa di competere con la produzione americana, ma proprio a livello europeo noi italiani non possiamo certo lamentarci della nostra cinematografia se ci confrontiamo con Francia, Spagna e Germania.
Tutto il cinema europeo, a mio giudizio, deve trovare una sua specificità culturale per affermarsi sugli schermi. Non metto nel calderone la Gran Bretagna e i suoi registi e c’è una ragione precisa. Il cinema inglese ha una sua naturale tendenza alla collaborazione con la produzione americana e spesso ha anche dei veri e propri rapporti di filiazione con gli Stati Uniti, per questioni di lingua ma anche di cultura e di una politica culturale spesso diversa da quella, diciamo, continentale.
La crisi non è di casa in Italia, ma in Europa. Se pensiamo soltanto al nostro Paese, ripeto, nonostante la sproporzione di incassi con il cinema americano questa stagione, grazie al rinnovato impegno di alcuni dei nostri autori, che stanno modificando anche il loro modo di fare cinema scegliendo di andare verso il pubblico, può dare ancora molti frutti.
La legge sul cinema, insomma, non si tocca?
Secondo me, il problema vero non sta nei meccanismi interni della legge sul cinema, che, certo, andrebbe rivista se ci fossero le condizioni politiche per farlo e dei tempi parlamentari praticabili. Soprattutto, bisognerebbe responsabilizzare i produttori, ma se proprio vogliamo parlare di crisi diciamo che la nostra è anche una crisi da carenza di idee e di sceneggiature che possano interessare il pubblico. E il nostro è un pubblico che ha dei gusti complessi e perennemente in movimento. In fondo, il tanto strombazzato e promosso Blair Witch Project in Europa è stato un flop. Anche i giovani, che spesso, si dice, bastano a decidere le sorti di un film, sono un insieme imprevedibile. Dobbiamo migliorare la qualità delle nostre storie e avvicinarci di più ai gusti di chi il cinema va a vederlo, proprio come ha fatto Soldini, oltre a trovare leggi nuove che consentano una maggiore partecipazione dei privati nel settore dell’industria cinematografica.
Anche perché, al giorno d’oggi in Italia, senza i finanziamenti dello Stato quasi non avremmo un’industria cinematografica…
Non è vero che in Italia non si fanno film se non c’è il sostegno del fondo di garanzia. Soldini era stato selezionato per ricevere i finanziamenti ma poi è riuscito a trovare i mezzi per realizzare il suo film da solo, e ha rinunciato al gettone. E la stessa cosa ha fatto Calopresti.
Ma se non fossero già stati selezionati per ricevere i finanziamenti del fondo di garanzia, sarebbero riusciti i nostri eroi a convincere gli investitori a rischiare sul loro progetto?
Ricevere il fondo di garanzia significa automaticamente essere insigniti di un attestato di qualità e quindi in questo senso sicuramente serve, ma secondo me Soldini e Calopresti sarebbero comunque riusciti a trovare i fondi necessari. Diverso è il discorso per gli esordienti. Quest’anno abbiamo licenziato ben 20 opere prime: gli esiti li vedremo l’anno prossimo nelle sale, e speriamo che almeno 5 o 6 di questi giovani registi riescano a incontrarsi bene con il pubblico, perché è fondamentale che la classe degli autori italiani si rinnovi. Noi abbiamo avuto un cinema glorioso, ispiratore di tanti registi anche oltreoceano, poi un periodo più fosco e spaesato, di stasi, e oggi c’è bisogno di nuove leve che sappiano parlare la lingua della modernità. In fondo il cinema è sempre lo specchio della società e lo è anche in Italia. Quando si parla di crisi, spesso è il nostro settore che davanti ad alcuni successi stranieri di botteghino grida all’Apocalisse, ma il box office italiano in realtà non è mai stato particolarmente ricco. La cinematografia americana è molto più “pesante” della nostra come capacità di penetrazione, per qualità e quantità, in un mercato interno d’altronde molto più vasto. Noi non abbiamo vere e proprie major, e forse il futuro sta proprio nella costruzione di una o più major europee. Del resto, se l’Italia piange, come ho detto prima, la Spagna (e la Germania e la Francia) non ride. Commentando l'”esclusione” del cinema italiano da Cannes, Almodóvar ha ricordato come anche gli spagnoli ne siano rimasti fuori, e si tratta del regista che ha avuto l’Oscar per il miglior film straniero. È tutto il cinema europeo che deve ritrovare il pubblico europeo, senza con questo perdere di vista la sua tradizione e la sua ricchezza.
E qui veniamo al problema della distribuzione, alle sue strozzature…
La strozzatura del cinema italiano sta nel segmento verticale tra produzione, distribuzione ed esercizio, perché abbiamo dei quasi-trust nelle città capozona, che poi sono quelle dove il botteghino incide di più. Tra distribuzione ed esercizio c’è la figura intermedia del programmatore, che per avere alcuni titoli di successo americani, o magari per rispettare le quote previste per i multiplex, accetta di mettere in cartellone anche alcuni film italiani, ma se già nella prima settimana non hanno un buon riscontro di pubblico subito li toglie. La promozione del film di Soldini in fondo l’ha fatta il passaparola di quelli che sono andati a vederlo, ma è anche vero che Pane e tulipani è uscito in parecchie sale e ha avuto anche il tempo di farsi apprezzare dal pubblico. In una stagione come la nostra, che si va sempre più allungando verso l’estate, e in cui La mummia, tanto per fare un esempio, esce ad agosto e sbanca il botteghino, i film italiani ed europei avrebbero bisogno di una maggiore tutela, anche perché il gusto del pubblico, per quanto imprevedibile, influenza il successo di un film ma ne viene anche influenzato. E poi anche i gusti del pubblico stanno cambiando. Alcuni titoli americani che venivano dati come successi scontati, commedie sentimentali comprese, in realtà sono stati dei flop. I giovani cercano il mondo anche fuori d’Europa e degli Stati Uniti, sono disponibili a frequentare anche cinematografie nuove e insolite. Il diritto dei film italiani di arrivare in sala e di restarci un tempo sufficiente per dare prova di sé dovrebbe essere meglio tutelato, dato che il più delle volte sono film che non hanno dietro particolari investimenti a livello di promozione. Anche la stampa spesso si occupa del cinema italiano ed europeo solo quando può prenderlo come bersaglio, invece di esplorare anche quello che accade. Certo, il nostro star-system è ancora molto lontano da Hollywood, ma alcuni dei nostri giovani attori si stanno affermando oltreoceano, e dovrebbero essere seguiti con più attenzione. Anche uno star-system vero, del resto, non nasce da sé, va costruito.
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