CANNES – Oggi è il giorno di Sofia Coppola, che divide i riflettori con la protagonista del suo The Bling Ring, una Emma Watson in versione sexy sempre più lontana dalla timida studentessa di Harry Potter. Il film, che apre il concorso Un certain regard, è attesissimo: code chilometriche per vederlo, tanto che molti giornalisti sono rimasti fuori. Gli applausi, al termine della proiezione, non sono mancati, anche se qualcuno non l’ha trovato del tutto riuscito.
Il soggetto è forte e ispirato a una storia vera, ‘catturata’ dalla regista tramite la lettura di un articolo su ‘Vanity Fair’: alcuni ragazzi bene di Hollywood, affascinati dalla vita delle star che abitano a un passo dalle loro case, e di cui conoscono tutto grazie anche all’uso spasmodico dei social network, senza pensare troppo alle conseguenze si mettono a svaligiare le ville dei Vip – da Orlando Bloom a Paris Hilton, che vedrà il film proprio questa sera – per mettersi nei panni dei loro beniamini. I novelli Bonnie & Clyde, battezzati dai media la gang del ‘Bling Ring’ (un altro modo per dire ‘glamour’), trafugarono tra l’ottobre del 2008 e l’agosto del 2009 oggetti pregiati per oltre 3 milioni di dollari.
“Appena ho letto l’articolo – racconta Coppola – ho capito subito che c’era materiale per farne un film, e che qualcuno l’avrebbe fatto, se non mi fossi sbrigata. Ho contattato la giornalista che lo aveva scritto, che mi ha fornito i primi materiali. E’ una storia estremamente moderna, contemporanea, che subisce l’influenza delle moderne tecnologie, dell’arrivo dei social network. Le cose sono molto cambiate da quando ero ragazza io, non c’è più una dimensione privata. I giovani oggi possono sapere anche cosa le star mangiano a colazione, grazie ai moderni strumenti di comunicazione hanno quasi l’impressione di poterle toccare. Questi ragazzi non avevano assolutamente idea di star facendo qualcosa di sbagliato, volevano solo far parte di quello stile di vita così vicino a loro eppure così distante. Non hanno mai pensato a quel che poteva succedere, non hanno ragionato come adulti, semplicemente perché non lo erano. Hanno perfino pubblicato delle foto su facebook che provavano la loro colpevolezza. Alcune loro ingenuità abbiamo dovuto toglierle da film perché, paradossalmente, erano troppo assurde per poter risultare credibili”.
“Tutto evolve così velocemente – commenta Emma Watson, che di questa nuova generazione fa parte di diritto – subiamo l’impatto delle immagini in maniera molto forte, i giovani si identificano con le star, nella loro testa si costruiscono un’immagine che spesso ha anche poco a che fare con la realtà. E’ un peccato, tutto ciò ci fa perdere un po’ l’innocenza. Spesso le riviste propongono una visione che è molto simile a una caricatura da fumetto. Per il mio personaggio ho lavorato moltissimo. Volevo che fosse credibile. Ho immaginato come poteva essere cresciuta, ho lavorato sull’accento, basandomi sui video di sorveglianza e il materiale che avevo a disposizione”.
Coppola torna sulla Croisette dopo aver presentato nel 2006 Marie Antoinette, che fu accolto tiepidamente dalla critica: “Mi piace sempre tornare a Cannes – commenta – ho ottimi ricordi dell’ultima volta e credo sia assolutamente naturale che il pubblico esprima la propria opinione. Qualcuno apprezzò il film, altri no. Ma è sempre un’ottima piattaforma per mostrare buon cinema”.
Inevitabile una riflessione: i veri ragazzi del ‘Bling Ring’, a metà tra i fan sfegatati e i criminali improvvisati, volevano diventare delle star. Ora hanno un film di Sofia Coppola in mostra a uno dei festival più importanti del mondo. Hanno realizzato il loro sogno? “Questo è il motivo per cui ho cambiato i loro nomi – risponde la regista – era un modo per evitare che diventassero ancora più celebri, ma anche per proteggerli”.
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