Soderbergh: dopo il contagio, mi prendo la convalescenza. O forse no…


La voce girava da un po’, ma Steven Soderbergh, a Venezia per presentare fuori concorso il suo thriller catastrofico Contagion, in Italia con Warner il 9 settembre, la conferma: “Ho voglia di prendermi un bel periodo di pausa. Diciamo un anno sabbatico”. O, visto il tema del film, che immagina un’epidemia su scala mondiale capace di decimare il genere umano, un bel periodo di convalescenza.

 

Poi però saltano fuori due altri progetti, sempre in collaborazione con lo sceneggiatore Scott Z. Burns, che ha scritto anche Contagion e che assomiglia al regista in modo impressionante, creando non poca confusione tra gli astanti in sala stampa che non avevano la fortuna di trovarsi tra le prime file.

 

Si tratta di Magic Mike, sugli spogliarelli maschili, e di Liberace, biopic sul pianista morto di AIDS che, pare, dovrebbe esser e interpretato da Michael Douglas. Anche Contagion, come di solito capita a Soderbergh, non si fa scappare il suo ricco cast di star: da Matt Damon a Gwyneth Paltrow, passando per Marion Cotillard, Laurence Fishburne, Jude Law e Kate Winslet. Viene proprio da chiedersi perché mai un regista di successo e così apprezzato dallo star system dovrebbe ritirarsi, anche solo per un periodo. “Non ho segreti – dice Soderbergh – è normale che un’ottima sceneggiatura come quella di Scott attiri grandi attori. Ed è fondamentale quando, come in questo caso, devi raccontare personaggi complessi in tempi veloci. I bravi attori sanno interpretare ruoli diversi e piacciono al pubblico perché riescono a farlo identificare con loro”.

Non è certo un instant-movie, Contagion, però concettualmente ci va vicino. Lontano dal tono fantasy di altri catastrofici come Io sono Leggenda o 28 giorni dopo, è invece molto realistico, e certamente ispirato a fatti di cronaca recenti come la diffusione della SARS. “Anche nel nostro film l’origine del virus è hongkonghese – racconta ancora il regista – semplicemente perché lì si trova il più grande mercato al mondo dove è possibile acquistare animali vivi. Volevamo un film realistico perché altrimenti non avremmo dato nessun contributo al genere, ma volevo anche che fosse stilisticamente pulito. Mi sono ispirato a Tutti gli uomini del presidente, e poi ho avuto la consulenza di esperti che hanno curato i casi di SARS”.

“Il dottor Ian Lipkin della Columbia University, ad esempio – dice Matt Damon – mi ha aiutato per la scena in cui dovevo reagire alla notizia della morte di mia moglie. Non sapevo come fare, perché ancora non conoscevo i personaggi, e lui, mentre Scott scriveva la scena al momento, mi ha dato un input, spiegandomi che non sempre chi riceveva queste notizie dava in escandescenza e che anzi spesso non riusciva immediatamente a capire cosa era accaduto”.

La peste di Camus? Non c’entra nulla. E nemmeno la crisi economica. “Uno degli elementi che mi ha affascinato di più dello script – dice Soderbergh – è che qui non c’è alcuna metafora. Il virus è solo il virus ed è il vero protagonista. Solo che non parla, anzi, sono gli altri personaggi a parlare di lui”.
“Il concetto di base – aggiunge Scott Z. Burns – è capire qual è il nostro margine di umanità. Cosa può accadere di fronte a un evento catastrofico del genere?”. Al dibattito si aggiunge Gwyneth Paltrow: “In USA ora stanno affrontando l’uragano e le persone hanno dimostrato di sapersi unire e aiutare tra loro. Ma con un contagio la cosa è ben diversa. Se ti soffermi troppo ad aiutare qualcuno rischi di ammalarti e morire tu stesso, e non tutti possono essere disposti a comportarsi da eroi. Per questo non credo di poter ancora far vedere il film a mio figlio. Figuriamoci, io non gli ho fatto vedere nemmeno Babe, maialino coraggioso…”

 

L’originalità del film sta anche nel saper dipingere personaggi a tutto tondo e non tagliati con l’accetta. Paltrow tradisce suo marito Damon, che a sua volta, pur tentando di difendere la figlia con tutte le sue forze, non sempre si comporta da padre modello. “Però – dice ancora l’attrice – non vedo la malattia del mio personaggio come una punizione per il tradimento. E’ solo una donna molto umana che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se poi tutti dovessimo morire dopo aver tradito, credo che resteremmo davvero in pochi a questo mondo, e in Italia in particolare!”

Poi c’è Jude Law, nel film un blogger spregiudicato che poi si scopre voler speculare sulla malattia, offrendo ai suoi numerosi seguaci l’acquisto di un placebo per curare il virus. “Non è un personaggio del tutto negativo – afferma il regista – mi serviva per fare da controcanto agli altri personaggi, ad esempio quello di Fishburne, che lavora per la sicurezza e dunque deve porsi la domanda sul ‘cosa dire a chi’, per far sì che la popolazione si curi come può ma anche che non si lasci prendere dal panico”. “Personalmete – scherza Fishburne – dopo aver visto il film mi lavo le mani più spesso”. “Anch’io – controbatte Soderbergh – ma del resto già venendo qui a Venezia ho già dovuto stringere molte mani e prendere l’aeroplano, il mezzo attraverso cui un virus si diffonde più facilmente!”. Chissà che, tornato a casa, un periodo di convalescenza non possa servirgli davvero.

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03 Settembre 2011

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