Nel 2016, Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti rappresentò le necessità formali e contenutistiche del cinema italiano. “Per stare al passo”, sembravamo dire, “dobbiamo fare così”. Ed era vero, come lo è oggi. Ma c’è un’altra verità. Perché di Jeeg non ci furono sequel o spin off. C’era tutto, tranne l’espansione di un universo, nato e finito nel singolo film. A costruire una trilogia, quasi un universo condiviso, intrecciando le lezioni di stile statunitensi con un genere – la commedia – tutto italiano, ci ha pensato due anni prima qualcun altro: Sidney Sibilia e il suo Smetto Quando Voglio, iniziato nel 2014 e chiusosi con il terzo capitolo nel 2017. Un altro film, comico e perciò escluso dal brusio sul futuro del cinema italiano, di cui è altrettanto facile pensare: “per stare al passo dobbiamo fare così”.
Mentre Sibilia torna in sala dal 2 marzo con Mixed by Erry, la trilogia di Smetto Quando Voglio approda su Prime Video. Un’occasione per riscoprire l’esordio che unì italianità e tradizione a forme di racconto oggi vicine allo spettatore.
Smetto Quando Voglio è la commedia all’italiana ai tempi delle serie, dello streaming, di un approccio – al racconto e alla produzione – che pensa ai film come luoghi, spazi con logiche chiare, che tornano e restano allo spettatore quanto basta per costituire un mondo a sé. È la storia di un gruppo di cervelli che si rifiuta di fuggire, rompendo il cortocircuito normalizzato di un paese di precari: si mettono in proprio e formano una strampalata banda di spacciatori d’alta classe.
La miniserie cinematografica – scritta da Sybilia assieme a Francesca Manieri e Luigi Di Capua – è stata pensata come una storia unica, con molti elementi di ritorno e spiegazioni perfettamente intrecciate, conclusi in sé in un piccolo universo narrativo ma aperti ai molti riferimenti esterni: lo spunto richiama la serie Breaking Bad, ma è il contesto sociale, che trova spazio tra la commedia e i generi, il primo vero controcampo di questa trilogia.
Come nella migliore commedia all’italiana, quel mondo altro, oltre lo schermo, è infatti il nostro. Precariato, ingiustizie sociali, questioni generazionali: Smetto quando voglio è più sintomo che denuncia, sguardo comico e irriverente su una realtà trasformata dagli imperativi del cinema contemporaneo. A tratti, ricorda Boris. Per il cast, di cui condivide parte dei membri, e per la lucidità. Ma se Boris è una commedia, senza se e senza ma, Smetto quando voglio lo è con molti se e molti ma. Perché si ride, si ride tanto, ma ci sono anche rapine ai treni in stile Western, cattivoni da fermare prima che sia troppo tardi e party alla DiCaprio in The Wolf of Wall Street. I riferimenti non sono masticati da volontà parodistiche: forniscono la doppia natura del racconto, disposto a cambiare ritmi e spazi adeguandosi ai generi che fanno la spola nella struttura comica.
Il contesto italiano non viene mai smentito o stropicciato dalla volontà di intrattenere. La trasformazione di un ingegnere navale (uno spettacolare Luigi Lo Cascio) in un villain capace di minacciare Roma con un pericoloso gas nervino, regala il coinvolgimento di un film d’azione un po’ scanzonato, ma è al contempo una parabola feroce e chiarissima del presente. Come tutti i personaggi di Smetto Quando Voglio, anche il cattivo dell’ultimo film ha alle spalle un dramma tutto italiano: un lutto legato ai tagli della sicurezza universitaria.
Il cast perfetto – Edoardo Leo, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Pietro Sermonti – crea icone e riassume intere realtà sociali, dal laureato disposto a rinnegare gli anni di studi per un posto da meccanico ai latinisti benzinai. Ogni personaggio racconta un pezzo di paese. Pezzi di cui lo spettatore non va fiero, ma che conosce molto bene e riscopre. Anche lui, anche noi – precari, delusi, senza più aspettative – osserviamo l’Italia in un “what if” seducente, in cui un ricercatore disoccupato diventa capobanda, eroe, divo e antidivo.
Smetto quando voglio è anche questo: i personaggi ci assomigliano, ma vivono una rivalsa cinematografica che lo spettatore – divoratore di contenuti, maratoneta seriale – conosce e può solo sognare, nel desiderio che anche la propria vita si trasformi in un heist movie.
Figlio di un approccio industriale che sa far uso di una trilogia come occasione per accogliere lo spettatore, Smetto Quando Voglio ci prende per la gola e ci salva dalla realtà mentre ne formula il ritratto perfetto. E intanto la commedia italiana si aggiorna e indica un futuro possibile.
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