CANNES. Ha girato un documentario Im keller, dedicato al rapporto dei suoi connazionali, gli austriaci, con le loro cantine dove, a differenza dei salotti ben curati e in ordine delle villette, si rivelano spesso il loro subconscio, la loro vita più nascosta. Ma in concorso sulla Croisette, la prima volta fu nel 2007 con Import/Export, Ulrich Seidl presenta Paradise: Love, un film impietoso, per nulla rassicurante che mostra il turismo sessuale praticato in Africa da alcune insospettabili signore europee di una certa età e dai corpi segnati dalla cellulite. Un turismo sessuale mostrato fin dentro le povere stanze dei gigolo africani e dentro le camere d’albergo. Come nella scena ‘forte’ di queste donne che giocano con il sesso e con il corpo di un ragazzo nero.
Protagonista di PARADISE: Love è Teresa una più che 50enne viennese e senza marito, grassa e sformata, un lavoro con ragazzi down, che parte per una vacanza tutto sole, mare e forse un po’ d’amore. Il paradiso che l’attende è un resort del Kenya sull’oceano, lontano da quella incolore vita quotidiana con figlia adolescente a carico e nulla facente. Sulle spiagge africane Teresa e altre donne mature, soprannominate le ‘sugar mamas’, trovano giovani neri, i ‘beach boys’, dai corpi longilinei e aggraziati, disponibili a notti di sesso purché retribuite in modo ‘indiretto’. C’è sempre un parente da aiutare: un bambino malato, un fratello ferito in un incidente, una sorella ragazza madre, un cugino in prigione. Sono graditi anche regali sotto forma di moto o elettrodomestici, etc. Si confrontano così l’Europa ricca e ‘Africa povera, gli sfruttatori e gli sfruttati, ma il confine è labile.
Teresa, con il suo sottofondo razzista e tanta ingenuità, passerà da un beach boy a un altro fino all’ennesima delusione e alla consapevolezza ultima che, nel suo caso, l’amore in Kenya è solo un affare.
PARADISE: Love è la prima parte di una trilogia con protagoniste tre personaggi di un’unica famiglia che scelgono vacanze separate. “Mi piace filmare le donne. Questa trilogia si è sviluppata a partire da diversi stimoli come quello di un film dedicato alle donne con più di 50 anni, e come il mio interesse per il turismo di massa – spiega Seidl – Con mia moglie Veronika Franz avevamo sviluppato una sceneggiatura su quest’ultimo tema che narrava sei storie di occidentali che trascorrevano le loro vacanze in Paesi del Terzo Mondo e che già parlava del turismo sessuale. Questa sceneggiatura è poi diventata la vicenda di due sorelle e della figlia di una di loro, donne che non corrispondono ai criteri abituali di bellezza”.
Tre storie sulla ricerca della felicità oggi, con protagoniste innamorate che resteranno deluse. La giovane (PARADISE: Hope), figlia di Teresa, trascorre le vacanze in un campo per adolescenti in sovrappeso dove conoscerà il suo primo amore, vissuto in modo assoluto. La sorella di Teresa (PARADISE: Faith) ama solo Gesù e va oltre avendo trasferito la sua vita sessuale in campo spirituale: lei cerca in paradiso, quello che non ha trovato sulla terra.
“La mia ambizione segreta era di filmare le tre storie in modo che potessero esistere indipendentemente l’una dall’altra in caso di necessità. Ho girato 80 ore di pellicola e abbiamo dedicato un anno e mezzo al montaggio e realizzato tante prime versioni in modo da connettere le tre storie. Ma il risultato finale è stato un film lungo 5 ore. Non era la soluzione ideale in quanto, invece che arricchirsi a vicenda, le tre storie finivano per perdere il loro impatto. A quel punto la soluzione migliore dal punto di vista artistico è diventata una trilogia”.
A metà strada tra la finzione e il documentario, il linguaggio di PARADISE: Love è affidato soprattutto alla camera fissa così che tutto si compone e si svolge in un’unica e lunga inquadratura, estremamente curata sul piano compositivo. Il metodo di lavoro scelto dal regista prevede innanzitutto una sceneggiatura nella quale sono descritte nel dettagli le scene ma è assente il dialogo, che è invece improvvisato con gli attori. Il film viene poi girato cronologicamente così che sia possibile modificare e sviluppare la sceneggiatura di partenza.
Bravissima Margarethe Tiesel che espone con intensa spontaneità il suo corpo nudo, anche nelle scene di sesso, ed è così a suo agio da apparire autentica. Così come sono autentici i beach boys in scena, i quali nella loro vita reale hanno scelto per qualche tempo di essere mariti di anziane tedesche, finanche trasferendosi in Germania. Ma l’Africa è una donna che non si dimentica.
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