In A Dangerous Method, il nuovo film di David Cronenberg in concorso alla 68ma Mostra di Venezia, interpretato da Viggo Mortensen e dalla rivelazione dell’anno Michael Fassbender, che racconta il conflittuale rapporto tra Sigmund Freud e il suo allievo/rivale Gustav Jung, il secondo è paragonato all’eroe del mito ariano Sigfried.
Ma, sempre citando il film, solo gli opposti che si attraggono, e poi si distruggono e si annullano, sono in grado di creare qualcosa di positivo, come nell’atto sessuale che precede il concepimento della vita. Gli opposti del caso sono, simbolicamente, proprio i due protagonisti: l’uno, Freud, positivista ed ebreo, l’altro, Jung, svizzero, protestante e tendente al misticismo. La contrapposizione è evidente anche nel modo di rappresentarli, piuttosto tipico: non c’è scena del film in cui Freud non stringa tra le labbra un sigaro che lo avvolge in una mefistofelica coltre di fumo, mentre Jung preferisce riflessivamente e cautamente degustare una profumata pipa.
Tra di loro, la figura di Sabina Spielrein (Keira Knightley), paziente isterica che diventa in seguito amante di Jung e psicanalista lei stessa. E anche quella di Otto Gross, anch’egli studioso della sessualità dai metodi alquanto inconsueti, interpretato da Vincent Cassel che nell’avvicendarsi delle conferenze stampa incrocia sua moglie Monica Bellucci – pare che la cosa non capiti loro tanto spesso, visti i rispettivi impegni – che esce dalla sala dopo aver presentato Un eté brulant di Philippe Garrel.
“Nel film però – specifica Viggo Mortensen – non c’è soltanto l’aspetto accademico o quello della ricostruzione storica. Molti registi sarebbero rimasti intrappolati dalla necessità di riprodurre tutto al dettaglio ma, pur trattandosi di un film fedele ai fatti, basato sulla pièce The Talking cure di Christopher Hampton a sua volta costruita sul fitto scambio epistolare che ha visto coinvolti i protagonisti, non è un documentario. Si tratta di una fiction, un dramma, a volte divertente, a volte tragico. David era molto preparato, ma alla fine ci ha lasciato soprattutto interpretare i nostri personaggi, con tutti i loro risvolti, i difetti, le contraddizioni, l’umorismo e i conflitti. Quello che si impara dal film è che la questione ‘Jung VS. Freud’ non è poi materia così accademica. Nel loro battibecco c’era molto di personale, e alla fine assumono atteggiamenti tanto infantili quanto quelli dei pazienti che intenderebbero curare”.
E’ un Cronenberg diverso da quello a cui siamo abituati. Le mutazioni del corpo, esplorate negli anni ’80 con Videodrome e La mosca, e più tardi con Crash, lasciano il posto alle più svariate declinazioni delle perversioni della psiche. E si tratta, almeno a prima vista, del suo primo lavoro puramente ‘storico’, con molta cura alle ambientazioni e ai costumi: “Ma io non sono d’accordo – commenta il regista – Erano film in costume anche Il pasto nudo, ambientato negli anni ’50, che ha richiesto un grande studio sulla figura di Kerouac, Butterfly e, per certi versi, Spider. Si tratta di una sfida eccezionale, perché non basta prendere gli attori e infilarli in un costume d’epoca per ottenere il giusto risultato. Bisogna catturare l’atmosfera e la magia di un’epoca. Alcuni attori ce la fanno, immedesimandosi totalmente in un personaggio del passato. Altri non riescono a calarsi nella parte, perché è molto difficile capire che nel corso degli anni è cambiata la mentalità umana e a mio parere la stessa struttura cerebrale delle persone, per via della tecnologia e di tutti i cambiamenti che ci sono capitati. E’ difficile fare nella maniera giusta un film del genere, perché in qualche modo per noi le persone vissute molto tempo fa sono come degli alieni. E anche il modo di vestirsi aveva un significato ben preciso”.
“Ma – continua – avevo moltissimo materiale su cui basarmi. Le lettere a cui si è ispirato Hampton, che è anche sceneggiatore del film, sono davvero moltissime. A quei tempi poteva esserci uno scambio di cinque, sei lettere al giorno. Se si mandava un messaggio la mattina, già nel pomeriggio ci si poteva aspettare una risposta, era molto simile all’attuale sistema di e-mail. Per cui questa volta ho scelto di fare un film che rappresentasse fedelmente la realtà. Sapete – scherza poi – questa è la sessantottesima Mostra di Venezia e io ho esattamente 68 anni. Poi, il caso ha voluto che il film d’apertura fosse Le idi di Marzo, e quelle è proprio la data del mio compleanno. Capirete che alla mia età, con tutti i film che ho fatto, è naturale gradualmente modificare il proprio stile. Quando ero giovane ed esploravo ancora la settima arte, riprendevo tantissimo e perdevo un sacco di tempo sul montaggio. Ora è diverso. Ma in generale io ascolto molto il film. E’ la pellicola stessa che ti dice di cosa ha bisogno. Evito di ‘cronenberghizzare’ i miei progetti, è la sceneggiatura a dominare. E dunque è normale che ogni mio film differisca dai precedenti”.
La vicenda, affrontata già da Roberto Faenza in Prendimi l’Anima e, più trasversalmente, da Carlo Lizzani in Cattiva, assume qui connotati profetici o, come piacerebbe dire a Jung, parapsicologici. Con la psicanalisi si è in grado di anticipare in qualche modo il pensiero di ciò che avverrà: “L’inizio del Novecento – dice ancora Cronenberg – era un’epoca in cui si tendeva a pensare che il mondo andasse per il meglio, che gli uomini stessere attuando la loro trasformazione, da animali ad angeli. Jung era affascinato da queste posizioni, tendendo alla spiritualità, alla religiosità. Freud dichiarava l’esatto opposto, ovvero che nell’inconscio esistono situazioni che la ragione non può risolvere, e che possono irrompere da un momento all’altro in modo disastroso. E in realtà è ciò che avvenne. A breve sarebbe arrivata la Prima Guerra Mondiale, a spaccare in due il sogno europeo”. In una scena del film, molto divertente, Jung si convince di poter prevedere con il pensiero l’esatto momento in cui si creeranno spaccature nei mobili di Freud, che lo osserva allibito. Più in là, un incubo lo avverte di ciò che sta accadendo su scala mondiale. Che è pura irrazionalità, materia in cui Freud sguazzerebbe volentieri.
Chi dei due ha vinto? Chi dei due ha ragione?
Lo scontro è ancora aperto e chissà che non venga riacceso, tra gli psicanalisti, proprio dalla visione di questa pellicola, che sarà distribuita in italia da Bim e che a Venezia, alla fine della proiezione stampa, ha ricevuto molti applausi.
Già cult alcune frasi, come quella, decisamente ‘uncorrect’, pronunciata da Freud a Sabina: “Non possiamo avere troppa fiducia negli ariani, siamo pur sempre ebrei”.
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