L’evirazione e poi il “cannibalismo”. L’inizio shock di Moebius, nuovo film del coreano Kim Ki-Duk passato oggi fuori concorso alla Mostra, è solo un assaggio delle violenze – non solo sessuali – provocate e autoinflitte in una storia che descrive l’inferno dentro una famiglia. E sceglie di farlo focalizzando l’attenzione sui genitali: traditori e, quindi, strappati via; predatori e poi impotenti; odiati e bramati. Dopo l’angosciante Pietà, Leone d’Oro dello scorso anno, il maestro coreano torna a percorrere un terreno scivoloso e disturbante, e senza risparmiarsi nessun eccesso. Tanto che in molti momenti i giornalisti in sala hanno reagito ridendo ruomorosamente. Ma “questo è semplicemente un film sulla famiglia, sul sesso, sui genitali e sulle dinamiche che li legano”, chiarisce il regista, che ha scelto di portare all’estremo anche lo stile, e di eliminare ogni dialogo.
In Moebius non viene pronunciata una sola parola: dominano soprattutto i gemiti – di piacere e di dolore –, e quando le immagini non supportano abbastanza il significato, intervengono la gestualità o le espressioni, molto insistite, degli attori. “Nel mio cinema i dialoghi sono sempre molto limitati, ma stavolta ho tolto la parola anche ai personaggi minori – spiega Kim Ki-Duk – Ho voluto fare un nuovo esperimento su un’idea di cinema che si concentri esclusivamente sulle immagini e rinunci alle parole”. Moebius, il cui titolo si riferisce ai principi teorici e matematici dell’astronomo tedesco, segue le agghiaccianti vicende del Padre (Cho Jae-hyun) che tradisce la moglie (Lee Eun-woo) e viene punito con l’evirazione del Figlio (Seo Young-ju), proseguendo in un’escalation di crudeltà e automutilazioni in cui il membro maschile è sempre protagonista, anche di vicende piuttosto rocambolesche.
Nelle sale italiane dal 5 settembre con Movies Inspired, Moebius è stato censurato in patria: “Parlare apertamente di genitali, in Corea del Sud, è proibito. E’ un argomento tabù, e la mia intenzione con questo film era precisamente portare questi temi nel discorso pubblico. Tant’è vero che nel mio Paese uscirà tagliato di tre minuti, mentre voi lo avete visto nella versione integrale”. E l’autore di Ferro 3, poi, non ha mancato di tornare sull’argomento per accusare: “Dopo averlo sforbiciato non era più il film che avevo fatto. La censura viene applicata per motivi politici. Spesso impedisce a giovani talenti di girare per anni, creando un serio danno a tutta l’arte cinematografica. E’ un problema che va risolto una volta per tutte”. In questo caso i tagli sono stati motivati dalle scene di “presunto” incesto, anche se è chiaro che Moebius non è un film sui rapporti tra consanguinei. Mentre riguardo a una possibile componente edipica – considerando anche le scene di (presnuto, di nuovo) incesto del precedente film Pietà – Kim Ki-Duk risponde: “Non conosco molto la tradizione occidentale, la tragedia greca ed Edipo. Volevo semplicemente partire dai concetti sul sesso che esistono all’interno della società coreana”. E mentre il cineasta ammette di aver volutamente inserito nella storia alcuni momenti più umoristici per alleggerire la tensione – “mi aspettavo che qualcuno ridesse durante il film” -, nega di aver voluto ritrarre personaggi femminili terribili: “Naturalmente le mie protagoniste non rappresentano tutte le donne, ma è vero che le donne coreane possono reagire molto violentemente al tradimento. E comunque le donne di oggi sono il risultato di ciò che noi uomini abbiamo fatto di loro”. Poi il regista, al Lido con il suo consueto look con tanto di codino, ha incontrato la madrina del festival Eva Riccobono, una sua fan. Entrambi emozionati, si sono fatti fotografare insieme e hanno scambiato qualche battuta: il regista si è detto lusingato dell’apprezzamento, mentre l’attrice gli ha confessato che le piacerebbe, un giorno, essere diretta da lui. Per il momento, Kim Ki-Duk, non ha commentato.
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