CANNES – Si intitola semplicemente Maidan, come la piazza centrale di Kiev diventata simbolo della protesta e della ribellione contro il presidente Viktor Janukovyč a partire dal novembre dello scorso anno, il documentario di Sergei Loznitsa che passa a Cannes, fuori concorso, proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali in Ucraina. Il regista ucraino – due volte in competizione con My Joy e In the Fog – scelto infatti di filmare gli accadimenti in questo luogo dove si sono coagulate per mesi, fino alle dimissioni del leader politico che si era opposto a un accordo con l’Europa in cambio di un prestito concesso dal presidente Putin, le energie degli oppositori a un regime basato sulla corruzione e le cricche. Maidan Nezalezhnosti, la Piazza dell’Indipendenza, è rimasta a lungo occupata, circondata da barricate costruite con qualunque cosa. Occupata pacificamente – e la cinepresa di Loznitsa indugia a lungo sui canti, specialmente dell’inno nazionale, le poesie declamate dal palco, le benedizioni dei preti ortodossi, l’atmosfera da concerto rock, la mensa dove si confezionano pasti a tutte le ore del giorno, gli uomini e le donne, di qualsiasi età, che hanno praticamente vissuto lì, nonostante il freddo e la neve. E difesa anche con la violenza, per resistere ai tentativi di sedare la rivolta. A dicembre venne inviata la polizia per intimare alla piazza di sgomberare. Tra gennaio e febbraio, scontri feroci e l’uso di pallottole vere portarono a un drammatico bilancio di oltre 100 tra morti e feriti. Infine il 22 febbraio l’esperienza di EuroMaidan si è conclusa con la fine della presidenza di Janukovyč e anche il film è entrato in una fase di postproduzione rapidissima per poter arrivare in tempo al festival. “Volevo portare lo spettatore nella piazza – spiega Loznitsa – e fargli in qualche modo provare l’esperienza di 90 giorni di rivoluzione, mettendolo dentro agli eventi, senza alcun commento o voce-over”.
Quando abbiamo incontrato Loznitsa in un’affollata conferenza stampa ospitata dal Padiglione Ucraino sulla Croisette (accompagnato dalla produttrice e da un rappresentate del Dutch Film Fund che ha contribuito a finanziare il progetto), il cineasta ha voluto innanzitutto lanciare un appello per il collega Oleg Sentsov, coinvolto nelle proteste a favore di EuroMaidan a Kiev e oppositore dell’annessione della Crimea da parte della Russia, arrestato nella sua casa di Simferopol, in Crimea, e accusato di aver organizzato un attacco terroristico. “E’ detenuto da dieci giorni, vi prego, unitevi alla campagna sostenuta dall’Efa e dall’Unione dei registi ucraini e russi per la sua liberazione immediata”.
Qual è stata la sua prima impressione arrivando a Kiev durante la protesta?
Ho deciso di andare a Maidan il prima possibile quando è iniziata la protesta perché, anche da lontano, avevo capito che stava accadendo qualcosa di storico che andava documentato. Arrivato lì ho compreso subito che il presidente sarebbe caduto perché non aveva più il rispetto della popolazione. Nessuna forza per quanto potente può resistere troppo a lungo al volere di centinaia di migliaia di persone che si esprimono per il cambiamento. Sono cresciuto a Kiev, città che conosco molto bene, ma mi ha colpito vedere quanto fosse cambiata la gente del posto.
Avete corso dei rischi, con l’operatore Sergei Stefan Stetsenko?
A Maidan in quei giorni avevi la sensazione di essere al sicuro e nel posto giusto, ma effettivamente il cameraman Sergei Stefan ha vissuto momenti di reale e grande pericolo. Sono stati tre mesi di lavoro continuo lì nella piazza. E’ stato chiaro da subito che ci sarebbe stata un’escalation di violenza perché la contrapposizione era troppo frontale.
Perché la scelta di tenere la camera ferma?
Non per motivi di sicurezza ma per una scelta estetica che mi è stata chiara fin da subito. Avevo bisogno di lunghi piani per mostrare la folla e le persone. Mi ha ispirato un grande esempio come Sciopero di Ejzenstein. Il mio film è scandito da episodi e ogni episodio mostra un nuovo momento della storia.
Il film si conclude con le immagini della commemorazione delle vittime di Maidan.
E’ importante conservare la memoria. Si fanno tanti monumenti al milite ignoto, stavolta il caduti hanno nome e cognome.
Perché non si vedono politici nel film?
Non sono stati loro a guidare la lotta, invece tra i leader ci sono stati molti attivisti che venivano dalla società civile. La politica in questo caso erano le migliaia di persone che si sono unite al movimento. Chiunque vada al potere ora, dovrà tenerne conto. Forse sono un idealista ma come artista ho diritto di essere un idealista.
E’ vero che ha rifiutato di concedere delle interviste singole a giornalisti russi?
E’ vero, c’è molta disinformazione nei media russi e non voglio contribuire a diffondere delle bugie. Esistono alcuni siti internet corretti e ci sono alcuni giornalisti che rispettano le persone, ma un vero e proprio spazio libero non esiste.
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