‘Sempre’, poetica e (settima) arte nella Rivoluzione dei Garofani

La regista Luciana Fina: “un affresco collettivo che vuole celebrare la grandezza del cinema e il suo fondamentale contributo alla storia”


“Sulle piazze delle città, nelle vie dei vecchi borghi, / ecco gli importanti, i dignitari, i fiduciari, / i potenti, le eccellenze, gli eminenti, / gli autorevoli, gli onorevoli, i notabili, / le autorità, i curati, i podestà, / gli uomini dell’autorizzazione, dell’intimidazione, / dell’unzione e della raccomandazione… (…). Eccoli dire di sì… (…).”

È la voce fuori campo del poeta Franco Fortini che risuona sulle immagini di All’armi siam fascisti! di Lino Del Fra, Cecilia Mangini e Lino Miccichè (1962) ad aprire Sempre, il film di Luciana Fina presentato il 5 settembre in anteprima mondiale alle Giornate degli Autori nella sezione “Notti Veneziane” nell’ambito dell’81ma Mostra del Cinema, e atteso a fine settembre nella capitale per la rassegna “Venezia a Roma”.

Una scelta tutt’altro che casuale, spiegherà la regista, che a cinquant’anni esatti dal 25 aprile 1974 – la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo – rivisita le immagini degli archivi della Cinemateca e della RadioTelevisionePortuguesa. A partire dai contributi cinematografici del tempo, Sempre ripercorre i cupi anni della dittatura fascista di Salazar fino alla liberazione, attraverso i tanti aspetti che hanno caratterizzato il processo di costruzione del nuovo Paese. Ma soprattutto, il film è un omaggio ai movimenti culturali e al cinema in particolare, che di questa straordinaria fase storica è stato protagonista.

Con un magistrale riuso di quelle immagini di archivio, Sempre ci mostra la repressione del Salazarismo e della sua polizia segreta, le occupazioni studentesche del ‘69, il Movimento delle Forze Armate del ‘74, i sogni, i programmi e le prospettive del processo rivoluzionario, fino all’”estate calda” del ’75. Un flusso molto poetico e quasi onirico, simile a quello della memoria, fatto dalle scene girate dai grandi cineasti portoghesi, che in quegli anni si misero in gioco assieme ad artisti, cantautori, compositori e registi radiofonici, esponenti del teatro d’avanguardia, per costruire il futuro. Il tutto attraverso l’arte del montaggio con la M maiuscola di Luciana Fina, portata all’estremo, che qua e là gioca a contaminare ieri con l’oggi, ‘suonando’ insieme i diversi linguaggi come in un’unica orchestra.

UN INIZIO CHE RIPARTE DA ‘CASA’

“Le ragioni per cui ho scelto di aprire il film con i versi di Fortini? Sono tante e diverse, al di là ovviamente del mio dato biografico”, ci svela Luciana Fina. “Anzitutto perché io, nata in Italia, sono anche la storia che porto con me: quindi anche quella del fascismo e della liberazione, ma soprattutto la storia degli intellettuali che ne hanno saputo interpretare il pericolo e, dopo, hanno saputo valorizzare il cambiamento. Trovo che il poema scritto da Fortini nel ’62 sia straordinariamente pertinente al presente. Perché in un’epoca oscura come quella che stiamo vivendo, il risorgere di alcune espressioni ci riporta dritti all’inquietudine dei tre registi, che fanno quel film col magnifico contributo di Fortini proprio perché vogliono dire agli italiani che il fascismo non è morto con la Liberazione, ma è nascosto nelle pieghe della storia, e ritornerà nel desiderio di dire sempre di “sì”, in quel modo. Quello spezzone per me è un po’ una chiave di violino: di un cinema come quello della Mangini, sì, ma anche di un film d’archivio, che – inquieto per il presente e attraverso le immagini del passato – restituisce quest’inquietudine allo spettatore, costruendo qualcosa di nuovo. In più, non va dimenticato che il fascismo italiano è stato il grande modello di riferimento anche per Salazar, molto più di altre figure dittatoriali del tempo. Quindi, tornando a quella scelta, c’è una ragione cinematografica, una storica e un’altra poetica. E l’altra ancora, che sta nel ruolo che i cineasti hanno nel proferir parola nella stessa poesia, attraverso la quale riescono a interrogare lo spettatore”.

 

LA POTENZA DEL CINEMA D’ARCHIVIO E DEL MONTAGGIO

“Il lavoro di archivio è in generale importantissimo nel mio cinema: i miei ultimi due film sono film di montaggio, uno sugli archivi italiani della televisione negli anni ’70 (Andromeda) e l’altro sugli archivi portoghesi: per me sono state esperienze fondamentali. Anzitutto perché, a fronte di un’iperproduzione di immagini, il nostro rapporto con la memoria è ancora tutto da sistemare, e io credo fermamente che il cinema possa aiutarci in questo. Poi perché credo molto nelle potenzialità del montaggio e nella sua essenza generatrice: quasi un movimento generatore del montaggio stesso nell’affrontare l’archivio e nel poter costruire una proposta di approccio alla memoria”.

IL CONTRIBUTO DEI CINEASTI

“Il film nasce nell’ambito delle celebrazioni dei 50 anni dalla rivoluzione: per me questo è un invito alla riflessione, non la celebrazione di un evento. Ma soprattutto è l’invito a riflettere attraverso la ricchezza, appunto, del contributo cinematografico. È un momento cruciale per il cinema in Portogallo – e non solo – in cui la settima arte si esprime con estrema forza, con diverse modalità di linguaggio, per parlare e interferire nella storia. Se quest’ultima è infatti una delle preoccupazioni, l’altra è portare la sua ricchezza anche attraverso la differenza dei suoi linguaggi: perché non si tratta solo di un cinema ‘militante’, di intervento, ma di un cinema che coniuga la sua inquietudine e il suo desiderio di interferenza con un cinema ‘di poesia’. Un cinema ispirato al neorealismo, un cinema di matrice antropologica, un cinema che capisce la necessità di occupare il media televisivo con il cinema di qualità… Quindi un cinema che si fa non ‘osservatore’ della storia, ma suo interprete e agente. In questo senso sì, ho voluto celebrare qualcosa: la grandezza del cinema in queste sue possibilità”.

 

UNA RICERCA NON FACILE, CHE NON SI LIMITA AGLI ANNI ’70

“Nel film cito anche il cinema che precede la rivoluzione dei garofani, come quello degli anni ’60 del grande Paulo Rocha, o il ‘Cinema Novo’ che in qualche modo preannuncia alcune preoccupazioni, parlando delle nuove forme della città, o della ruralità che diviene urbana. Quindi anche una coscienza, un’insofferenza e una poetica capace di affermare tutto questo. Poi, oltre a chiedere alla Cineteca di poter lavorare con quel che i cineasti avevano fatto con la tv, ho cercato anche tra gli archivi del cinema amatoriale, quello delle persone comuni che partecipavano a quel momento storico e avevano l’esigenza di immortalarlo. Poi invece, ad esempio, cercando materiale fotografico sul movimento degli studenti, l’ho trovato nel documentario di un artista. Ho avuto fortuna, perché in quel periodo la gente aveva paura di produrre immagini: la polizia politica era talmente efficiente che incuteva un timore estremo, quindi non si documentava quasi nulla, per paura che poi di essere denunciati a causa di quelle stesse immagini. È stato bellissimo ritrovarne di così rare, e ricucirle attraverso un montaggio che scommette sulla loro diversità per creare il flusso narrativo del film, che per l’appunto non vuole raccontare la storia della rivoluzione, ma piuttosto la potenza poetica e politica di quel processo, attraverso il cinema e le arti”.

“UN AFFRESCO COLLETTIVO”

“In Sempre si possono ritrovare anche film come Revolução di Ana Hatherly (1975), una grande artista portoghese scomparsa, con quell’incredibile montaggio sonoro e visivo della pittura dei murales, su cui torno più volte nel mio racconto, come in un refrain che mi aiuta a tenere alto il livello emotivo. O il programma TV CantigamenteA década de 60 em Portugal (1976) di Ernesto de Sousa, e tanti altri. Poi c’è Pintura Colectiva – Movimento Democrático dos Artistas Plásticos (1974), il film che documenta la realizzazione dell’affresco collettivo: quell’affresco per me rappresenta un metalinguaggio, perché anche quel che sto tentando col mio film è un affresco collettivo, che risiede nella volontà di celebrare questo cinema, riportando tutto il potenziale che ciascun cineasta ha saputo fornire nel suo contributo a quel momento”. 

 

L’ESTETICA CHE SI FA ‘ESPERANTO’ DEI MOVIMENTI DI LIBERAZIONE NEL MONDO. E QUEL ‘SEMPRE’ CHE NON PUÒ CHE EVOCARE UN ‘OVUNQUE’

“Era esattamente questa la speranza che avevo nel montare il film. Vivo in Portogallo (dal 1991, ndr) come italiana, con tutta la memoria storica che mi accompagna, e nel percepire tale potenziale risiede anche il mio desiderio di trasmetterlo. In termini formali, credo che quell’estetica possa far tornare riconoscibile a chiunque, anche in altri Paesi del mondo, quello che è stato il sogno dell’emancipazione, in chiave davvero internazionalista. Credo che tra le arti il cinema, in particolare, sia in grado di oltrepassare la specificità di un momento storico e le stesse frontiere, che nel caso di un movimento poetico e rivoluzionario non esistono. Spero davvero che tutto questo possa rappresentare un esempio per il presente”.

 

Sempre, scritto e diretto da Luciana Fina, è una produzione Cinemateca Portuguesa – Museo do Cinema in collaborazione con Luciana Fina – LAFstudio in collaborazione con RTP – Rádio e Televisão de Portugal. Distribuzione e vendite internazionali Portugal Film – Portuguese Film Agency con Ana Isabel Strindberg Miguel Valverde.

Con il supporto di Vìtor Carvalho aiuto-regia, di Luciana Fina al montaggio e alla progettazione del suono. Guilherme Sousa – Billyboom per il sound mixer. Inês Sambas per la color grading. Joana de Sousa coordinatrice di produzione e Rui Guerra per il design.

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