The Irishman “si svolge in un tempo (passato), ma l’esperienza umana immediata è perenne, moralità e immoralità sono accessibili fuori dal tempo e ora”, spiega Martin Scorsese, regista del film – su sceneggiatura di Steven Zaillian e dal libro omonimo di Charles Brandt – presente all’anteprima italiana, alla Festa di Roma in Selezione Ufficiale.
Il film narra uno dei più grandi misteri irrisolti della Storia americana, la scomparsa del leggendario sindacalista Jimmy Hoffa (Al Pacino): The Irishman, un monumento narrativo e cinematografico sulla criminalità organizzata nell’America del dopoguerra, riflettuta e messa in scena dal ricordo di Frank Sheeran (Robert De Niro), veterano della Seconda Guerra Mondiale, momento in cui sviluppa le proprie abilità criminali durante il servizio in Italia, fino a essere poi sicario al fianco di alcune delle “peggiori” e più importanti figure del Secolo scorso, tra cui Russell Bufalino, interpretato da Joe Pesci.
The Irishman è un viaggio storico e temporale nelle meccaniche poco celesti del crimine organizzato, ma altrettanto della propria esistenza in affaccio sul finire della stessa. “Tutto passa nel tempo, tutto ciò che succede nel racconto, ma Frank rimane solo mentre sta rivivendo tutta l’esperienza della sua vita. Un film non deve essere ambientato in un contesto contemporaneo per essere contemporaneo, il cuore lo deve essere”, continua il regista.
Il film nasce dal libro di Charles Brandt sia come base creativa che come opportunità di progetto comune per Scorsese e Di Niro (anche coproduttori): “ L’ultimo film fatto con Bob era Casinò del ’95, e nel tempo abbiamo sempre cercato di lavorare per trovare il personaggio giusto su cui tornare a fare cinema insieme; gli hanno fatto conoscere questo libro e dopo letto mi ha detto di dagli un’occhiata: nel raccontare Sheeran, Bob era emozionato e questo mi è bastato a capire che doveva essere qualcosa in cui avremmo dovuto trovare molto di più di una storia; il film, poi, ha tardato la produzione negli anni e il passare del tempo ci ha fatto riflettere sul punto di vista”, racconta Scorsese, che per questo film sceglie di far raccontare in prima persona al suo protagonista, ora nella solitudine di una casa di riposo.
Le riprese del film sono iniziate nell’agosto 2017 a New York e sono terminate nel marzo successivo, una produzione possibile grazie a Netflix, come spiega Martin Scorsese: “Circa metà del film è stato possibile grazie agli effetti speciali (già premio a Pablo Helman all’Hollywood Film Awards per Miglior Effetti Visivi), altrimenti non avrei potuto lavorare solo con De Niro, Pacino e Pesci per ringiovanimento/invecchiamento di circa 30 anni: è arrivata Netflix con la magia speciale delle tecnologia CGI e una libertà creativa completa, oltre a sei mesi di tempo ulteriore per finalizzare il film”, nella versione che il colosso diffonderà sulla piattaforma dal 27 novembre, anticipato dall’uscita in sala il 4 dello stesso mese. “Per vedere un film sullo schermo, il film deve prima poter essere fatto e il problema è che i film che ho avuta la fortuna di poter realizzare non si possono più fare adesso: negli ultimi anni ho lavorato sul finanziamento autonomo, ma in questo caso, con De Niro sentivamo di poter sintetizzare qualcosa presente in noi e si è presentata Netflix con il finanziamento e la libertà assoluta, con l’unico accordo che il film dovesse vedersi in contemporanea in streaming e al cinema. In fin dei conti un autore non ha controllo del modo in cui verrà visto il suo film: oggi sono offerte possibilità senza fine dal cinema; per sempre la visione migliore è la sala, ma rimane fondamentale il fatto che prima il film possa essere fatto. Spero che film come i miei abbiano per sempre sale che li sostengono, e queste non siano solo ‘parchi di divertimento’, perché è questo che i nostri giovani credono sia cinema”, spiega il regista, che fa solo questo velato riferimento alla recente dichiarazione in opposizione alle produzioni dei film dedicati ai supereroi.
Il film, in fondo fatto da quattro italiani – Scorsese, De Niro, Pacino e Pesci – è già un capitolo gigante della Storia del cinema, ma probabilmente di più ancora della Storia della recitazione, del mestiere dell’attore, perché vette altissime raggiungono le recite individuali e le scene corali: Scorsese aveva già lavorato di certo con De Niro e Pesci, ma: “Con Pacino è stata la prima volta, anche se lo conosco degli anni ’70: l’idea che lui fosse Hoffa è stata di Bob, e si avverte nel film il loro reale rapporto personale, sentivano che stavano facendo insieme qualcosa di speciale, erano sempre presenti durante la lavorazione”, rivela il regista dei suoi attori, e continua raccontando che: “Nei personaggi c’è un aspetto anche religioso, che si creda o meno, perché c’è un tentativo di contemplazione dell’astratto; la melanconia fa parte dell’attesa del tempo che finisce, come una società in un tempo di pace, c’è un’accettazione della fine della vita, come nei personaggi c’è anche qualcosa che io stesso ho sentito crescendo in quella zona di NY: ho sentito che qui non c’era più bisogno di esaltare il personaggio criminale, perché l’accaduto è tutto nel passato, le decisioni sono state prese, le cose sono state fatte, noi nel film non abbiamo pensato a rendere spettacolare la storia; lavorare dopo 23 anni con De Niro era spettacolare: non ci siamo quasi dovuti parlare, un approccio un po’ nudo”.
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