La Casa del Cinema di Roma e la Cineteca di Bologna hanno dato Carta Bianca a Martin Scorsese, è infatti questo il nome della rassegna che apre stasera la stagione estiva delle proiezioni a Villa Borghese, e che nei prossimi giorni seguirà a Bologna, dove il regista americano è atteso il 2 giugno.
Sin da alcune ore prima dell’incontro (alle 21), il pubblico, la maggior parte seduto sotto palco e a filo d’erba, pullulava a centinaia creando un “effetto Woodstock”: d’altronde, Scorsese – che per l’occasione sfoggia cravatta e calzini in pendant, color lampone – è una star non meno dei Pink Floyd o dei Beatles, questo quanto s’è confermato stasera a Roma.
ll Maestro ha selezionato alcune coppie di film, in ciascuna uno proprio: a un titolo da lui scelto all’interno della sua filmografia ha abbinato un’opera che ha costituito per lui una fonte d’ispirazione.
Nell’attesa di ottobre, quando arriverà sul grande schermo il suo ultimo film – Killers of the Flowers Moon, in anteprima Cannes -, la serata si apre tornando indietro a mezzo secolo fa e al suo esordio: Mean Streets (1975) accoppiato con Prima della rivoluzione (1964). Scorsese ricorda e racconta: “ho visto Prima della Rivoluzione al NY Film Festival, avevo 23/24 anni e rimasi affascinato da come fosse fatto: non era una questione politica, ero troppo giovane per capirla, soprattutto quella dell’Est Europa. Il film mi ha ispirato e quando Bernardo Bertolucci ha assistito alla proiezione stampa io lo guardavo come un grande genio: era per ambizione, volevo essere come lui, ma mi ha sopraffatto soprattutto la potenza della bellezza del suo film. E ci ho provato, riprovato, riprovato: il risultato è il film che vedrete stasera, Mean Streets. La mia ambizione era essere lui. L’altro film che mi incantò fu Accattone, ma l’impulso a creare è venuto da Prima della Rivoluzione” racconta il Maestro, del primo film fatto con De Niro. “La maggior parte era scritto, ci ho impiegato 5/6 anni, Cassavetes mi ha dato il coraggio. Charlie-Keitel era in parte me, ma io ero anche studente all’Università in quel periodo, per cui ero entrambi i personaggi. Diciamocelo: non avrei mai pensato il film sarebbe uscito nelle sale, ma mi son detto: ‘intanto, lo faccio’. I miei genitori erano con me al New York FF alla proiezione e mia mamma era sorpresa che tutti le andassero intorno alla fine, chiedendole un parere: ‘voglio ‘sappiate che a casa nostra nessuno ha mai usato tutte quelle parolacce, non so chi gliel’abbia scritto!’. E poi il film riflette il rapporto tra mio padre e il fratello più giovane, mio padre aveva sette fratelli: Joe era il minore e finiva sempre nei guai, quando mio padre morì, la stessa notte, lui ha avuto un infarto e poi è mancato tre mesi dopo”. Il film compie 50 anni, fu presentato alla Quinzaine a Cannes, tempo in cui, a Sorrento però, Scorsese, a un festival di documentari per cui s’era occupato della presenza di alcuni film americani, “ho incontrato Fellini, e Coppola, che lavorava a Il Padrino. Poi, quando venni la mia prima volta a Roma ho incontrato Federico l’ultimo giorno del viaggio: gli ho detto ‘maestro ho tenuto lei e la Cappella Sistina da vedere! alla fine’. Lui mi mostrava i suoi disegni e poi gli ho chiesto il miglior ristorante, mi ha portato da ‘Mamma Cesarina’. Ci siamo poi visti nel corso degli anni, con Universal avevamo finalmente i soldi per un documentario, ma purtroppo nel frattempo è mancato: voleva fare un film di montaggio sui mestieri del cinema”.
E dopo questo amarcord, Gian Luca Farinelli – moderatore dell’incontro, presidente della Fondazione Cinema per Roma e direttore della Cineteca di Bologna – sollecita Scorsese a spiegare anche altre “coppie” della Carta Bianca, come Il colore dei soldi (1986) e Il sorpasso (1962). Il film di Risi, Scorsese lo definisce: “un film bello, vivo e non solo ben fatto ma che tratta dei valori e di come il mentore cerchi di corrompere l’uomo più giovane, qualcosa che troviamo anche ne Il colore dei soldi, ma ne Il sorpasso c’è molta più vita. Ne Il colore dei soldi c’è soprattutto una storia di grandi inganni. Ci sono le straordinarie performance di Gassman e Trintignant ma anche la messa in discussione dei valori dopo la Seconda Guerra Mondiale, temi attuali, tra realismo e vita spirituale”.
Mentre dopo aver visto Shadows (1959) di John Cassavetes, racconta Scorsese, “ho capito che non c’erano più scuse: non c’è bisogno di aspettare un grande studio e avere grandi macchinari, ma solo una grande passione. Il mio film Chi sta bussando alla mia porta (1967) non è paragonabile a quel capolavoro, ma da lì nato”.
È poi il momento di Cape Fear (1991) e The Night of the Hunter (1955). “Cape Fear è un tentativo di entrare nel mainstream dell’horror col gusto gotico del Sud. The Night of the Hunter non si può considerare senza lo straordinario Robert Mitchum: è un tentativo di esplorare il senso di espiazione e la paura, e poi arriva lui che come un tuono tira fuori tutta l’anima. The Night of the Hunter è un capolavoro irraggiungibile”.
Scorsese poi ammette: “Tutte le scuse sono buone per far vedere Wajda, ma anche tutta la scuola polacca, Polanski compreso”, parlando della coppia Cenere e Diamanti (1958) e The Departed (2006). “Il personaggio principale somiglia molto a Leo Di Caprio in The Departed, il momento in cui trova una via di fuga nell’amore è uguale a quello di Cybulski”.
Infine, un “testa a testa” tra Close Up (1990) di Kiarostami e Rolling Thunder Revue: Martin Scorsese racconta Bob Dylan (2019). Quello iraniano, per Scorsese, è “uno dei film migliori mai fatti, è difficile mettere a parole cosa faccia Kiarostami nel film: è un uomo che vuol sperimentare la gioia e la felicità verso il cinema, ma è un falso. Si tratta del ‘creare’, come nel mio film: il senso della creatività segue Bob Dylan. In entrambi c’è un forte senso di comunità: nel tour di Dylan si porta la musica di città in città”.
Così, Martin Scorsese, 80 anni compiuti e l’entusiasmo vivissimo, la risata contagiosa ricorrente come il sincero inchino a omologhi maestri del cinema, che lui definisce geniali o capaci di capolavori – quale lui stesso è –, allo scendere del necessario buio, non quello di una sala, ma sull’arena esterna della Casa del Cinema, ha così siglato la sua Carta Bianca per Roma.
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