Fine Anni ’50. Un piccolo paese dell’Italia meridionale è l’universo contraddittorio di Ciccio Paradiso – Riccardo Scamarcio, contadino quarantenne sposato con Lucia – Valentina Cervi, genitori di Rocco, 7 anni: il vincolo del matrimonio, però, non manca di venir minato da una passionale storia “d’amore e d’anarchia”, quella di lui con Bianca – Gaia Bermani Amaral: nell’animo e nella testa dell’uomo il sogno di cambiare le cose, per cui non si sottrae allo scontro con i suoi compaesani; L’ultimo paradiso è così un film di radici, di appartenenza: dell’emancipazione di chi se n’è andato ma non può fare a meno di mantenere il contatto con il proprio luogo, e il proprio sentimento.
Riccardo Scamarcio di questo film firma anche la produzione e la sceneggiatura, quest’ultima con il regista, Rocco Ricciardulli, da cui la proposta all’attore di una storia vera, poi adattata insieme per il cinema: “La necessità è stata dettata dalle dinamiche che vediamo nel film, che non sono poi così cambiate nel tempo: ricordo, da bambino, che arrivavano ragazze dal brindisino a raccogliere fragole nei campi, ed erano sfruttate, come ora lo sono gli extracomunitari: sono cambiati ‘gli attori’, ma il caporalato c’è e giù le risposte ancora mancano”, afferma l’autore.
Scamarcio, entrando nel merito del mestiere di co-sceneggiatore, spiega essere stato: “molto interessante il metodo, già sperimentato in Pericle il nero con Mordini, un work in progress anche durante le riprese: il finale l’abbiamo scritto dieci giorni prima di girarlo, completamente differente da quello previsto all’inizio delle riprese; con questo metodo, che comporta dei rischi, siamo tutti più elastici e le cose sono più organiche, soprattutto quando c’è da sopperire a risorse non enormi: insomma, ci si rimbocca un po’ le maniche e si zappa la terra. In questa storia ho ritrovato due elementi: la lotta di classe e l’altro, che mi interessa altrettanto, è la dinamica dell’emancipazione e dello scappare, di chi è andato via ma con la nostalgia delle proprie radici; in questa storia, poi, ci sono dei paradossi, come Ciccio che è sposato con un bambino ma decide di scappare con un’altra donna, per una sorta di incosciente egoismo, ma quello che mi interessa del cinema è il saper creare personaggi tridimensionali, senza stereotipi, cosa che mi sembra un valore importante di scrittura”.
Per il ruolo di produttore, aggiunge: “Riuscire a costruire un film da zero e a 360 gradi è un privilegio: ho la fortuna di conoscere il set dall’interno, di conoscere le dinamiche; per me, l’idea di base della produzione è riuscire ad aprire un collegamento diretto tra la parte creativa e la produttiva, per cui mi sono ‘sacrificato’ e piuttosto che mettere in giro un altro attore-regista – di cui ce ne sono di bravissimi – ho preferito diversificare”.
Fuori e dentro il set, ruoli multeplici per Scamarcio, che nel film è anche padre, come nella vita: “Ho già avuto l’opportunità di fare dei padri in situazioni complicate, con l’amore ancestrale del padre verso un figlio, come ne Il ladro di giorni; un padre – nella Storia del cinema – che m’è piaciuto tantissimo è stato in The Champ di Zeffirelli: per me, il rapporto con la paternità è assoluto, non mi interessa l’aspetto sociologico, mi interessa l’amore al di là di te stesso; sono diventato papà da un po’ e ho capito che è ‘un amore che non ti prevede’, che è al di là di te. Il padre di questo film è uno che ama, ma proprio ama questo figlio, con un rapporto fatto di mani in faccia, di contatto, cose che io conosco, seppur mio padre non fosse estremamente affettuoso, ma c’è questa cosa del toccarsi molto, dell’entrare in contatto col dialetto, che permette una dinamica speciale”.
E poi ci sono le figure femminili della storia, Gaia Bermani Amaral, la cui: “Bianca è moderna, perché rispecchia la donna di oggi: cerca riscatto, libertà, giustizia, non vuole sottostare a determinate regole; rappresenta un po’ il ponte tra ieri e oggi ed è importante il concetto dell’identità della donna, che lei vuole imporre, così si ribella al padre padrone, al fratello violento, cercando di cambiare la propria condizione, miccia personale per un cambio della donna in generale. Un personaggio caparbio e fragile allo stesso tempo”.
E Valentina Cervi, con la sua Lucia, che vive: “nella famiglia di Ciccio, in cui le donne sono la forza che la porta avanti: loro vivevano tutti insieme, in un piccolo spazio; Lucia si ribella a suo modo ma non può abdicare alla sua sofferenza e comprende che l’amore, e quella deriva, sia una deriva possibile, per cui c’è una maggior comprensione a lasciare andare l’uomo al suo desiderio”.
“La libertà va cercata, difesa, assumendosi anche dei rischi: è una sorta di impegno”, aggiunge Scamarcio.
“I personaggi qui sono ingenui”, riflette il regista. “E questo amore di Ciccio per Bianca è puro, qualcosa che si percepiva nelle famiglie di una volta: gli ambienti (interni) qui sono cupi, quasi oppressivi, mentre fuori vediamo la Murgia, la luce, la libertà, questi contadini hanno bisogno di sognare, come c’è bisogno oggi, ecco perché ancora si va via. E’ ispirato a una storia vera che accadde in Lucania, e Gravina di Puglia è molto simile, per cui è stato girato quasi tutto lì, in questa masseria che ci ha permesso di raccontare questa famiglia, un luogo che ha consentito di narrare anche tutte le sfaccettature di quella antagonista alla famiglia Paradiso, quella di Antonio Gerardi, padre di Bianca”.
L’ultimo paradiso è un film originale Netflix in associazione con Mediaset, disponibile dal 5 febbraio: “il cinema è un modo di raccontare, non il luogo, per cui penso che non morirà mai: è un’arte importante, una corsia preferenziale con l’inconscio delle persone, qualcosa in cui Fellini è manifesto; certo, vogliamo la sala riapra”, dichiara Riccardo Scamarcio.
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