VENEZIA – L’oro di Napoli, un capolavoro che compie 70 anni e che apre, alla vigilia dell’apertura ufficiale, la Mostra di Venezia nella ormai tradizionale “pre-apertura”. Un film amato da maestri come Martin Scorsese, Wes Anderson e Liliana Cavani che torna nella versione restaurata in 4K da Cinecittà, versione integrale, anche con l’episodio del Funeralino, ai tempi escluso dal montaggio perché troppo cupo, ispirato alla novella sulla morte di un bambino a Napoli e quasi senza dialoghi.
A presentare l’evento, sulla terrazza del Palazzo del Cinema, il nipote di Vittorio, Andrea De Sica, anche lui regista, il produttore Aurelio De Laurentiis che detiene i diritti e ha dato impulso a questo restauro come a quello de Il giudizio universale, attualmente in lavorazione, e Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, che sottolinea il lavoro di squadra per restituire lo splendore alla pellicola, togliere “graffi e macchie come a una stoffa”.
Tutti sottolineano come i restauri abbiano un pubblico. “Si pensa che la gente sia abituata agli effetti speciali, invece questi film sono piaciuti, i capolavori di Dario Argento hanno fatto buoni risultati di nicchia quest’estate“, afferma Sbarigia. E ricorda una foto conservata nell’Archivio Luce con Vittorio De Sica e Giuseppe Marotta, autore dei racconti da cui è tratto il film (lo sceneggiatore fu Cesare Zavattini). “Ci sono loro che vanno al funerale del direttore del ‘Corriere della Sera’. Marotta leggeva sui giornali solo i necrologi e le pagine dello spettacolo, poi andava alle esequie oppure al cinema”.
Nei sei episodi del film, prodotto da Carlo Ponti e Dino De Laurentiis (Il guappo, Pizze a credito, Il funeralino, I giocatori, Teresa e Il professore), ci sono i divi dell’epoca, figure iconiche della scena napoletana ma non solo. Accanto a Totò, Sophia Loren, Eduardo De Filippo, Tina Pica, anche Silvana Mangano e Paolo Stoppa, questi ultimi vinsero il Nastro d’argento per le loro interpretazioni.
Un film che all’epoca fu tacciato di bozzettismo, ma che prelude alla Commedia all’italiana per l’intreccio di tragedia e comicità. In concorso a Cannes nel 1955, oggi figura fra i 100 film italiani da salvare.
“Cinecittà prosegue il suo impegno per salvare le grandi opere del cinema”, dice la Presidente. “Abbiamo una grande squadra al lavoro, da Paola Ruggiero alla programmazione della Cineteca al gruppo che fa capo a Enrico Bufalini per i restauri. Siamo imbattibili. E’ vero, ne facciamo tanti e li facciamo bene, siamo capaci di fare recuperi eccezionali. Anche con L’oro di Napoli abbiamo raggiunto un grande risultato. E’ frutto della nostra politica culturale che stiamo sviluppando sempre di più per conto e su impulso del MiC. Conservazione, restauro e divulgazione sono collegati e la divulgazione è un tema che ci sta molto a cuore. Anche la formazione con il recupero delle professionalità artigiane e tecniche. Abbiamo botteghe dell’Archivio Luce sui restauri, ci sono tanti giovani che adesso stanno nei nostri cellari a lavorare con i grandi restauratori. Ma il nostro pallino è la divulgazione che facciamo con le mostre, le rassegne anche internazionali. Il grande successo di questi film dimostra che non si tratta di opere da museo ma con una vitalità contemporanea”.
Sbarigia continua ricordando che “il MiC sta per annunciare i dati di Cinema Revolution e so che abbiamo fatto una degna figura con i film di Dario Argento restaurati, che sono andati solamente un giorno a settimana in 120 sale, un numero piccolissimo di copie, ma con un risultato eccezionale. Abbiamo organizzato a Roma un’arena horror con Pupi Avati e Dario Argento che sono venuti a parlare, hanno lanciato idee e proposte, per esempio la scuola horror a Cinecittà. Da ogni collaborazione si sviluppano delle novità. Quando si fanno bilanci sul cinema italiano contemporaneo bisogna andare in profondità e per esempio parlare dei generi. E’ importante anche educare i ragazzi alla visione di cose più complesse. Il cinema italiano sembra in salute, per esempio ci sono cinque film in concorso a Venezia, e ci sono tante donne tra le registe. Poi, c’è Paola Cortellesi che ha incassato tanto, il pubblico è andato a vedere un film che sulla carta non sembrava facile da veicolare. Io sono ottimista. Bisogna fare squadra. Più siamo e ci mettiamo in relazione, più ci riconosciamo un valore che non deve essere dato perché sei una donna. Occorre creare spazi per far conoscere alle donne, anche giovani, che ci sono possibilità di fare mestieri che non erano immaginabili. Nelle nostre botteghe, al corso di falegnameria, erano tutte ragazze. Le registe si stanno facendo largo, abbiamo tanti documentari, il più recente è quello di Adele Tulli. Accanto ad Alice Rohrwacher o Paola Cortellesi, ci sono brave registe che ancora non sono emerse, che si stanno sperimentando e riescono per la prima volta ad avere budget consistenti per girare”.
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