Presentato come proiezione speciale alla diciannovesima edizione della Festa del Cinema di Roma, San Damiano, diretto da Gregorio Sassoli e Alejandro Cifuentes, offre un ritratto autentico della vita ai margini della società attraverso la figura di Damian Eugeniusz Bielicki, 35enne polacco. Arrivato a Roma con cinquanta euro in tasca e un passato tormentato segnato da carcere e ospedali psichiatrici, Damian non è un senzatetto comune; rifiuta di dormire sul pavimento della Stazione Termini e sceglie invece di innalzare la propria esistenza arrampicandosi sulle Mura Aureliane. Perché Damian aspira al cielo, a qualcosa che solo lassù può trovare.
Il documentario segue Damian in un percorso intriso di contraddizioni e dualismi: da un lato la sua natura impetuosa, talvolta violenta e autodistruttiva; dall’altro la sua vulnerabilità, la sensibilità artistica e il desiderio di amore e riconoscimento. Sogna di diventare un cantante dal “flow” grezzo e autentico, che esprima la sua ribellione contro una società che lo vorrebbe omologato. La musica diventa per lui non solo un mezzo di espressione artistica, ma anche una forma di preghiera laica, un modo per cercare redenzione e significato in una realtà spesso crudele.
Sassoli e Cifuentes, con una troupe ridotta all’essenziale, si sono immersi per due anni nel microcosmo che ruota attorno alla Stazione Termini, ritraendo non solo Damian ma anche una serie di personaggi che animano questo mondo sotterraneo: Sofia, Alessio, Costantino, Christopher, Dorota, Vincent e Felice. Ciascuno di loro porta con sé storie di sofferenza, speranza e umanità, contribuendo a creare un mosaico di vite ai margini che spesso restano invisibili agli occhi della società.
La regia adotta uno stile crudo e diretto, evitando pietismi e moralismi. La cinepresa segue i protagonisti con discrezione ma senza filtri, catturando momenti di intensa autenticità: le risate, le lacrime, le liti, le effusioni amorose. L’impiego della musica, sia originale sia di artisti noti come Nek, Coez ed Edoardo Bennato, arricchisce la narrazione, amplificando le emozioni e sottolineando i passaggi chiave del racconto.
L’opera di Sassoli e Cifuentes non è solo il ritratto di un individuo, ma estende il proprio sguardo alla società contemporanea e alle sue contraddizioni. La Stazione Termini si erge così come simbolo di un mondo diviso a metà. Un viaggio nell’anima di Roma e dei suoi abitanti più invisibili, un inno alla resilienza umana e alla capacità di sognare nonostante tutto.