“Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare”. E’ una delle frasi chiave di Educazione siberiana, il nuovo e molto atteso film di Gabriele Salvatores tratto dal celebre romanzo (forse autobiografico, forse no, con relative polemiche) di Nicolai Lilin (Einaudi), scrittore russo naturalizzato italiano. Ed è la frase che il regista vorrebbe prendere come personale regola: “Se la seguissimo, specie di questi tempi di crisi, vivremmo meglio”.
E’ una delle perle di saggezza impartite da nonno Kuzja (John Malkovich) al nipote Kolima e al compagno di giochi Gagarin, due ragazzini di 10 anni che vediamo crescere pericolosamente nella Transnistria sovietica dentro la comunità degli “onesti criminali” siberiani. Un clan che segue un ferreo codice d’onore – è proibito portare denaro in casa, così come consumare o vendere droga – ma non si tira indietro di fronte a furti, rapine e violenze efferate. Che odia burocrati e poliziotti. Che venera le sacre icone come le armi da taglio o da fuoco. Che si copre il corpo di tatuaggi per non dimenticare la storia segreta di ciascuno. E tra gli imperativi categorici dei siberiani c’è quello di proteggere i “voluti da Dio”, pazzi o dementi, come la bellissima Xenja (Eleanor Tomlinson) che toccherà il cuore di Kolima ma non lascerà indifferente neanche il duro Gagarin.
“La storia raccontata da Lilin – spiega Salvatores – si svolge in una regione del Sud della Russia in un arco di tempo che va dal 1985 al 1995, un decennio non così lontano ma che sembra lontanissimo, in cui avviene uno dei più grandi cambiamenti della storia contemporanea, la caduta del Muro di Berlino e la sparizione dell’Urss, con tutto quello che questo evento ha comportato nei rapporti economici e sociali dell’intero pianeta”. E il regista di Mediterraneo, che sembra interessato proprio all’aspetto di ribellione ai poteri finanziari, ricorda che il film esce il 28 febbraio, proprio mentre Benedetto XVI lascia il pontificato: “E’ un altro dei cambiamenti epocali visti dalla nostra generazione”.
Nel film seguiamo i due protagonisti (i due esordienti lituani Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius) nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza e quindi all’età adulta. “Nessuno chiede di venire al mondo e se capita qualcuno deve prendersi la responsabilità di educarlo e dargli un futuro”, spiega ancora il cineasta milanese.
John Malkovich – che Salvatores ha scelto per il carisma e l’insita pericolosità – è il mentore dei due protagonisti, un cattivo maestro in piena regola, ma guardato con evidente complicità dal regista. “Bisogna avere il coraggio di dare delle regole, che saranno poi rimesse in discussione e magari negate. E in un’epoca come la nostra, in cui tutti cercano il consenso generale, diventa sempre più difficile. Vorrei che il pubblico notasse che, buoni o cattivi, l’importante è che i maestri ci siano. Bisogna prendersi la responsabilità di dire: questo è bianco e questo è nero. Allora dico, meglio un cattivo maestro che nessun maestro”.
Interviene uno dei sceneggiatori, Stefano Rulli: “Rispetto al libro, insieme a Sandro Petraglia, abbiamo dato più peso al personaggio di Gagarin facendone una sorta di comprotagonista, perché ci permetteva di parlare di qualcosa che riguarda anche noi, la crisi del senso dopo la fine delle ideologie. A cosa un giovane si deve legare per trovare un senso? Alle radici e alle tradizioni oppure alla rottura della continuità, sposando una modernità laica o magari la ricerca del denaro a tutti i costi? Ciascuna delle due soluzioni è parziale e incompleta. Ma nella scena finale del coltello spezzato c’è il sogno di ricomporre quell’unità, e quell’amicizia, magari nell’aldila”. E l’amicizia, non dimentichiamolo, è uno dei temi di Salvatores da Tournée in avanti.
Ovviamente la sceneggiatura ha sacrificato alcune parti del libro – ma Lilin, con la sua presenza in conferenza stampa, vuole benedire l’operazione – “ci sono molti altri personaggi e aneddoti meravigliosi – spiega Salvatores – per esempio il ragazzino che sta tutto il tempo della locomotiva abbandonata e che è soprannominato il Ferroviere. La difficoltà principale è stata proprio tagliare e individuare una linea narrativa in un mondo così articolato”.
Per il regista, 62enne, è stata tutta una sfida. “Un film delle prime volte in cui sono uscito dal mio guscio di sicurezze e ho imparato qui più che in qualsiasi altro mio film. Stiamo cercando di aprire una breccia nel sistema produttivo italiano pensando all’Europa non solo in termini di Merkel e di spread”.
Gli stranieri hanno raccolto la proposta – il film è stato venduto ovunque – e molti hanno paragonato Educazione siberiana a C’era una volta in America. “Certo, Sergio Leone è uno dei registi italiani che amo di più e sono legato a lui direttamente attraverso il mio maestro Nino Baragli, che fu anche il suo montatore. Del resto a me piace il cinema che racconta le storie, le grandi storie, ed è quello che so fare”.
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