TORINO – La lotta per la conquista di un materasso, la fatica nei campi, l’attesa – indeterminata – sul ciglio di una strada nella speranza di “vincere” una giornata di lavoro, la fila per un pasto e per un vestito usato. Il silenzio e la speranza repressa. La parola Rosarno evoca immagini esplosive di violenza e intolleranza che all’improvviso occupano i Tg, una mediatizzazione compulsiva ed effimera che nasconde molte altre cose. Nel documentario di Greta De Lazzaris – in concorso a Torino nella sezione Italiana.doc – la protagonista invece è la difficile routine quotidiana della cittadina calabrese. “In Rosarno – dice infatti la regista, francese trapiantata a Roma, dove ha lavorato come assistente operatore sui set di Matteo Garrone – racconto la miseria, dell’Italia e forse dell’Europa: non c’è bisogno di andare fino a Rosarno per vedere una situazione così. Ma lì sono stata testimone di vicende di estremo disagio, ma ho deciso di lasciarle fuori campo. Con i migranti, e non solo, ho vissuto cose molto forti, ma non sono mai entrata con le immagini nell’intimità della loro vita privata: volevo preservare la loro dignità”.
Un pudore verso la realtà del territorio che ha indotto la De Lazzaris a evitare ogni forma di spettacolarizzazione, a far fluire il racconto in modo semplice e rigoroso, inquadrato in un quattro terzi e con le immagini sgranate tipiche di una piccola telecamera digitale. Tutto, guidato da una domanda: “Cosa può permettersi di mostrare un documentario?”. Domanda che però la regista si è fatta quasi 10 anni fa, quando nel 2004 – ben prima della famosa rivolta e degli scontri – è andata a girare per due mesi nella piana di Gioia Tauro. “Ho deciso di montarlo e proporlo al pubblico solo ora – spiega – perché ogni volta che rivedevo il materiale non trovavo la violenza che ho vissuto quando sono stata lì. Mi sembrava di essere lontana dalla realtà, perché ad esempio avevo visto dei feriti, gente a cui avevano appena sparato, e non potevo riprenderlo. Il tempo ha reso faticosa l’elaborazione del montaggio”. Ma, riflette il produttore Mazzino Montinari, ” È come se vedessimo una specie di materiale d’archivio del presente. Rosarno è stato girato nel 2004, ma questa storia non è finita, è un archivio ancora vivo”.
Il film, che presto sarà mostrato alla gente di Rosarno, è stato completato grazie al crowdfunding, mentre all’origine di tutto c’era una missione di Medici Senza Frontiere a cui la regista partecipò per documentarla: “Sono partita nel 2003 e quando ho visto quella situazione ho pensato che fosse necessario raccontarla. Non ho mai voluto raccontare solo i migranti, ma anche i segni del lavoro, della miseria, di un’industria agricola che fallisce”. Greta De Lazzaris ha quindi messo insieme le immagini di un’assenza – delle istituzioni, soprattutto – piuttosto che il clamoroso conflitto da essa provocato, un lavoro in profondità che nasce da “un rapporto buono con gli abitanti – spiega la regista – i rosarnesi non volevano che si raccontasse la miseria del territorio e spesso chiudevano porte e persiane: nel film mi sono adeguata a questi limiti. Ho avuto anche qualche problema nel girare: qualcuno andò dai migranti a dire che ero della vigilanza e che li stavo schedando, distruggendo il rapporto di fiducia che avevo costruito nel tempo”.
Le date decise dai vertici del Museo Nazionale del Cinema e dalla Direzione del Festival, d'intesa con la Regione Piemonte, la Città di Torino e la Provincia di Torino
Da oggi al 4 dicembre i cinema Alcazar, Greenwich e Nuovo Sacher ospiteranno una selezione di dieci titoli
La 31esima edizione del Torino Film Festival si è chiusa con un incasso complessivo di 267mila euro e 92mila presenze in sala
L'ad di Rai Cinema commenta il premio del pubblico andato a La mafia uccide solo d'estate al TFF