Romina Power: “La bellezza di mio padre Tyrone: l’autoironia”

L’intervista alla figlia del divo hollywoodiano, a 110 anni dalla nascita e a 66 della scomparsa: il XXV Festival del Cinema Europeo di Lecce ospita la primogenita del celebre attore, e con lei il fratello Tyrone Jr, per celebrare il mito e il padre


LECCE – Un secolo e dieci anni fa veniva al mondo un uomo che sarebbe di lì a una manciata di tempo entrato nell’Olimpo hollywoodiano, contribuendo a scrivere la Storia del Divismo e quella del Cinema: Tyrone Power, nato a Cincinnati nel maggio 1914, e spentosi il 15 novembre 1958, tra i ruoli che hanno segnato la carriera ha interpretato quello di Stanton Carlisle ne La fiera delle illusioni (1947), personaggio spartiacque per lui che tornava al cinema reduce dalla guerra e portando con sé l’aspettativa di eroi romantici e del genere “cappa e spada”.

Per celebrare il mito e l’uomo, il XXV Festival del Cinema Europeo di Lecce ha scelto di riproporre il titolo di Edmund Goulding, ospitando i figli Romina e Tyrone Jr, insieme ai nipoti Cristèl e Yari.

Romina, prendendo spunto dal film, parliamo di illusione: nel mestiere del cinema, quanto è importante per l’artista saper giocare e non prendere troppo sul serio questo concetto, e quanto è fondamentale non cadere nella trappola che può creare? 

Lui non è mai caduto nella trappola delle illusioni, lottava sempre con lo Studio, perché volevano facesse sempre gli stessi ruoli e avendo un contratto capestro non aveva molta scelta: alla fine, quando finalmente era diventato indipendente e produceva i suoi film, non ha fatto in tempo a realizzare quelli che avrebbe voluto veramente interpretare.

Se c’è una cosa che può creare illusioni è la bellezza, che apparteneva senza dubbio suo papà: che valore aveva intimamente per Tyrone Power questo dono della Natura, che però può essere anche un’arma a doppio taglio?

Lui aveva molta autoironia e un grande senso dell’umorismo, penso che questa fosse la sua vera bellezza. Era un uomo molto sensibile, molto buono di cuore.

E’ stato un Divo, ha contribuito a scrivere la Storia del Divismo: per lei, per la sua esperienza di figlia di un’icona, cosa significa ‘essere Divo’, e perché non ci sono più stati interpreti che nel tempo abbiano saputo mantenere questa allure?

Il Divismo s’è creato perché l’immagine di ogni Divo era molto patinata, non c’erano i paparazzi, non si vedeva mai uno che si mettesse le dita nel naso o che fosse struccato o con una brutta luce, quindi già quello creava il mito del Divo; poi, allora venivano molto, molto protetti dagli Studios, messi come sotto una campana di vetro. Tu hai mai visto una foto di Greta Garbo struccata, o di Marilyn Monroe sciatta? No.

Suo padre, nel suo ricordo di bambina o dai racconti che ha raccolto, era Divo anche in casa? E in cosa era davvero un uomo comune?

Quando lui ha lasciato il corpo io avevo appena compiuto sette anni, per cui non proprio nessun ricordo di me bambina con mio padre, io ero già in collegio, dunque non ho ricordi della mia infanzia precedenti alla sua morte, però, dai racconti che ho sentito, non era mai divo in casa, non era uno di quelli capricciosi, era una persona semplice, normale: per esempio, so che ha posato lui le pietre del camminamento dalla casa alla piscina, per dire, cioè qualcosa di molto normale.

Il periodo di affermazione di suo papà aveva a che fare anche con un altro concetto hollywoodiano, che vive tutt’ora, seppur trasformato, e parlo del potere: che rapporto aveva con questo, qual era secondo lui il vero potere di un artista?

E’ difficile per me dirlo, è un argomento che non ho mai affrontato: io ho fatto una ricerca di 25 anni sulla figura di mio padre, facendo interviste a persone connesse alla sua vita, o per lavoro o sentimentalmente, ma il tema del potere non mi è venuto in mente, quindi non ho idee, ma so che lottava sempre con Zanuck, il capo dello Studio, e gli dava fastidio l’imposizione di dover interpretare certi film, certi ruoli, che avrebbe preferito non fare.

Forse, è stato una forma di potere il raggiungimento dell’indipendenza.

Sì, finalmente, ma purtroppo troppo tardi.

La fiera delle illusioni è stato adattato da Guillermo del Toro, con Bradley Cooper nel ruolo che fu di suo padre: qual è il suo parare sul remake di film originali o di grande successo, e/o interpretati da icone, di cui altri ereditano il ruolo?

Sono un po’ di parte, perché per me ogni film di del Toro è un capolavoro. Lui è veramente… chapeau! Il suo film è una versione molto diversa dall’originale, in cui ogni immagine, ogni momento, ti rapisce, anche la bellezza del periodo in cui è ambientato, di per sé bello da vedere, e tutti gli attori sono fantastici. Sono stata fortunata a stare sul set i primi giorni in cui hanno girato, mi ha invitata Guillermo del Toro, perché voleva un collegamento… una connessione con mio padre. Nel film sono seduta al tavolo con Cate Blanchett e quando Bradley Cooper sviene mi cade quasi sul piede: mi hanno messo il costume, la parrucca, ed è stato bello vedere il genio all’opera, incredibile, ineccepibile. Il grande cinema ancora c’è, esiste.

E da noi, in Italia, vive ancora il grande cinema?

Sì, è stata una sorpresa molto piacevole il debutto come regista di Paola Cortellesi, ho apprezzato molto il film e la sua regia.

 

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