Romero e la tv degli zombi


Gli zombi sono più vivi che mai. Si fa per dire, insomma…
Certo è che il genere inaugurato da George A. Romero con La notte dei morti viventi nel 1968 richiama ancora, e non poco, l’attenzione del pubblico: basti pensare ai successi delle recenti produzioni a tema come il francese La horde di Yannick Dahan e Benjamin Rocher o lo spagnolo Rec 2 di Jaume Balaguerò e Paco Plaza, entrambi presentati alla 66ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Ma anche alla saga di 28 giorni dopo, o ai parodistici L’alba dei morti dementi e Zombieland.
Che li si chiami “morti viventi” o “infetti”, che li si rappresenti lenti e caracollanti o aggressivi e rapidi come schegge impazzite, i cadaveri ambulanti fanno ormai genere a sé all’interno del filone horror. Il “film di zombi” spaventa, certo, ma può fare anche ridere, commuovere o riflettere: specie quando dietro la cinepresa c’è colui che il trend l’ha inaugurato tanti anni fa.
Ogni buon cinefilo sa che classificare i film di Romero soltanto come pellicole “di paura” è quantomeno riduttivo: si tratta in realtà di violenta satira sociale, colorita di mille venature – dal grottesco al western – dove il morto vivente rappresenta soprattutto lo stadio evolutivo successivo a quello dell’uomo, ciò che noi diverremo “dopo”, quando i più bassi istinti consumistici avranno preso il sopravvento sulla nostra razionalità.

A Venezia è stato presentato in pompa magna, tra l’altro, anche Survival of the Dead, ultimo capitolo della saga romeriana.
Ma oggi dobbiamo fare un passo indietro e chiederci come mai, nonostante tutta questa fervente produzione “mortuaria” goda di buoni riscontri al botteghino, il precedente episodio diretto da Romero nel 2007, chiamato Diary of the Dead e a sua volta molto influenzato dal Rec di Balaguerò, si guadagni solo ora la distribuzione italiana, con il sottotitolo Le cronache dei morti viventi.
Forse, paradossalmente, il “paese dei reality” non era, e non è, ancora pronto a un film di zombi girato in 23 giorni come un ‘mockumentary’, usando cineprese a mano, camere a circuito chiuso e perfino telefoni cellulari. E dove ancora una volta il mostro, qui più che mai “in prima pagina”, rappresenta la terrorizzante metafora dei tempi attuali, con un tagliente parallelismo tra antropofagia “live action” e cannibalismo mediatico. Infatti Romero voleva farne una serie tv.
Plauso comunque a Minerva Pictures Group, P.F.A. films e Sharada Films, che lo portano al Nuovo Cinema Aquila di Roma a partire dal 30 ottobre.

Se La Terra dei morti viventi del 2005 sembrava rappresentare l’epilogo ideale per la lunga epopea ‘zombesca’ romeriana – tanto che si pensava, non senza ragione, che fosse finita lì – questo, a detta dello stesso regista, “è un film che viene direttamente dal cuore, non è un sequel, non è un remake: è un nuovo inizio per la serie.”
Non a caso, anche narrativamente, il giorno dell’outbreak in cui i morti risorgono dalle tombe viene ricondotto alla modernità, seguendo le vicende di un gruppo di studenti di cinema che, mentre sta girando un horror, si trova a dover fronteggiare l’ondata di zombi famelici.
I segni del “qui e ora” ci sono tutti: youtube, computer, telefonini, montaggio digitale.

Gli zombi di Diary non sono più i sessantottini “incazzati” in rivolta contro la borghesia imperante, ma i rappresentanti della gioventù odierna che, stufa di farsi manipolare il cervello dai media, si va a riprendere ciò che è proprio mangiandosi quello degli altri. Non si può che fare il tifo per loro.
Se poi gli “spuntini” hanno in mano una telecamera, meglio: ora la tv ce la facciamo da noi.
A suon di morsi!

autore
29 Ottobre 2009

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