Una classe di liceali indisciplinata e ribelle, un professore di tedesco troppo rigido, una ragazza fragile e silenziosa che si anima solo quando suona Mozart al pianoforte, un romanzo di Thomas Mann, Tonio Kröger, il suicidio di un’adolescente e le reazioni dei suoi coetanei, sconvolti, arrabbiati, pronti a dare la colpa all’insegnante poco empatico fino ad accusarlo di essere un nazista, ma anche ad attaccarsi l’un l’altro in un’escalation di violenza.
Sono gli ingredienti dello straordinario Class Enemy opera prima del ventinovenne Rok Biček, in sala dal 9 ottobre con Tucker Film dopo aver partecipato alla Settimana della critica 2013 dove ha vinto il Premio Fedeora. Il film è anche uno dei tre finalisti al premio LUX attribuito dal Parlamento Europeo. Abbiamo incontrato il regista sloveno a Roma.
Il film mostra la realtà del conflitto tra gli studenti e il professore con la freddezza di un trattato filosofico e con una costante ambiguità di fondo. Si presta a molte possibili interpretazioni, nessuna delle quali è necessariamente quella giusta. In questo riflette anche la complessità delle società contemporanee e la sfida sempre più ardua delle democrazie moderne.
È vero che Class Enemy si presta a molte possibili interpretazioni, ma non sta al regista dire qual è quella giusta. La rivolta degli studenti contro il sistema scolastico è l’immagine dello scontento sociale globale, che sfrutta ogni giusto o ingiusto motivo per ribellarsi contro le norme vigenti.
Il suo non è il primo film che si ispira al microcosmo della scuola per parlare anche di molto altro. Penso a “La classe” di Laurent Cantet, ma soprattutto al canadese “Monsieur Lazhar”, anche lì c’era una scolaresca che si doveva confrontare con un suicidio. Qual è stata la sua fonte d’ispirazione?
Mi sono ispirato a esperienze dirette. Quando ero al liceo, una ragazza del primo anno si è tolta la vita e i compagni hanno iniziato a incolpare i professori, si sono ribellati al sistema scolastico più o meno nelle stesse forme che si vedono nel film, compresa la trasmissione radiofonica in cui accusavano i professori. Il film è girato proprio nella stessa scuola in cui si verificarono quegli eventi.
Anche il personaggio del professore è ispirato alla realtà?
Sì, si basa sul mio insegnante di matematica. All’epoca avrei voluto ucciderlo per quanto era severo. Lo consideravamo cattivo, ma oggi gli sono molto grato, perché oltre a insegnarmi la matematica, mi ha preparato alla vita. È stato il miglior professore che io abbia avuto al liceo. Credo che un professore così sia necessario per ogni generazione, certo due sarebbero troppi, ma uno ci vuole. Purtroppo nel nostro paese, in Slovenia, non ce ne sono più molti. Sono in via d’estinzione.
Nel suo ultimo discorso il professore spiega ai ragazzi perché non è nazista, perché il nazismo discrimina mentre lui è duro con tutti alla stessa maniera.
Spesso si usa la storia in modo fuorviante per etichettare. I giovani hanno perso contatto con la seconda guerra mondiale, a malapena sanno chi l’ha vinta, ma conoscono e usano la parola “nazista”, anche a sproposito. C’è confusione di idee e poi c’è anche un problema linguistico, perché appena uno parla tedesco con una certa durezza subito appare nazista.
Perché ha scelto proprio Thomas Mann e perché Tonio Kröger?
Sono partito dalla citazione “La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive”, una frase dello scrittore di Lubecca che ho letto in un videogame e che mi è rimasta impressa, l’ho conservata per dieci anni su un quaderno dove appunto molte idee per i miei film. Tonio Kröger era argomento di lezione nelle scuole slovene e mi sono reso conto che il rapporto tra Tonio e Hans aveva molte similitudini con la relazione tra Sabina, la ragazza che si toglie la vita, e la sua migliore amica. Chi conosce quell’opera ha una chiave di lettura in più. Sono piccoli dettagli che quasi non noti, ma se li noti, ti indirizzano diversamente. Come la foto che il professore tiene tra le sue cose e che ogni tanto guarda. Lo spettatore non sa chi c’è nella foto, ma attraverso questo gesto capisce che lui è un essere umano, che ha dei sentimenti. Mi piace che il pubblico sia attivo.
Come ha lavorato con i giovani protagonisti?
Nel film ci sono solo cinque attori professionisti, gli insegnanti, mentre i ragazzi sono dei veri liceali. Nel cercarli ci siamo concentrati sui ragazzi che non si offrivano volontari per il film, perché ci servivano ragazzi introversi, timidi. Abbiamo creato tra loro un’amicizia durante le prove. Si sono aperti anche con me e mi hanno confidato cose personali, queste informazioni le ho poi usate per manipolarli sul set. Non è certo una bella cosa, ma dovevo farlo. Inoltre non hanno mai incontrato prima Igor Samobor, che è un famoso attore sloveno, lui non ha passato un solo istante con loro tra una ripresa e l’altra, proprio per mantenere la freddezza e la durezza che c’è tra questo professore e gli allievi.
Perché ha scelto di non mostrare mai il mondo al di fuori dell’edificio scolastico?
Mi sono concentrato sul conflitto tra due generazioni che ha luogo in una classe che diventa come un ring. Il liceo non è collocato in un luogo preciso, non si vede mai cosa c’è fuori, anche metaforicamente. La sensazione claustrofobica costringe lo spettatore a prendere posizione, lo fa sentire come una mosca che non può scappare. Nella vita niente è bianco e nero e niente è semplice, a differenza di quello che i politici vorrebbero farci credere.
Sta lavorando alla sua opera seconda?
È una grande sfida mettere insieme una sceneggiatura forte come questa. E siccome per me il migliore sceneggiatore è la vita, sto lavorando a un documentario di osservazione, che si intitola Family. È la storia di un ragazzo che è l’unico normale nella sua famiglia, suo fratello è down e i genitori hanno problemi mentali, io lo seguo da quando aveva 17 anni e ora ne ha 22, nel frattempo ha avuto una bambina, ma poi si è lasciato con la compagna ed è tornato dai suoi e sta tentando di avere una vita normale con loro. Con Class Enemy ho iniziato a combinare attori e non attori, in questo nuovo film mi sono spinto ancora oltre su quella strada. Nel frattempo mi hanno chiesto di fare un remake in lingua inglese di Class Enemy, ma non credo che mi interessi dedicare altri tre anni della mia vita a questo soggetto.
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