VENEZIA – La boxe ha Mike Tyson. Il rock ha Mick Jagger. Il porno ha Rocco Siffredi. Ma nessuno lo ha mai ritratto con la profondità di Thierry Demaiziere e Alban Teurlai, che oggi alle Giornate degli Autori presentano il documentario – intervista Rocco, dove il re del porno si mostra in una maniera che non ha mai fatto. Un Siffredi diverso, emozionato ed emozionante, che non teme di tirar fuori quello che difficilmente riesce a fare con il suo lavoro abituale: fragilità e insicurezze. Gli inizi – quando la famiglia voleva che diventasse prete – la carriera, la relazione con la moglie e i figli, e la rivelazione finale che ha cambiato la sua vita per sempre. Un racconto sul dietro le quinte del mondo del porno e delle sue stelle, ritratto senza regole di una personalità fuori dal comune. “Inizialmente – dicono i registi – ci avevano richiesto di fare un doc sulla pornografia americana. Ma noi siamo dei ritrattisti e volevamo concentrarci su una persona sola. Abbiamo scelto Rocco perché è il più rappresentativo. Abbiamo cercato di rendere una visione cristallina, senza giudizio, trattando gli attori come professionisti e performer. Non è un documentario porno, non si vedono le penetrazioni, ci interessa più soffermarci su quello che si conosce in maniera soltanto pregiudiziale, senza sorvolare anche su aspetti poco piacevoli e violenti”. Ma è soprattutto Rocco a parlare di sé, nel film e in questa intervista.
Lei è abituato a mettersi a nudo, ma questa volta si tratta dell’anima. E’ una cosa che fa paura?
E’ sempre una cosa strana. Le racconto una cosa. La prima volta che ho visto il mio sedere e i miei testicoli in un film hard mi sono spaventato. Non mi ero mai visto da dietro, mi sono abituato solo dopo qualche settimana a guardare il mio corpo e percepirlo come ‘normale’. E da lì ai successivi trent’anni è andato tutto bene, a parte le circostanze passeggere del sentirsi più o meno in forma. Questa esperienza è stata forte e pesante, mi sono svuotato di tutti: sentimenti, paure, fragilità. Non volevo fare un film finto. E’ un film che ho fatto per me, per chi mi conosce, per chi mi incontra per strada e mi fa i complimenti. Gli ho voluto regalare questo ritratto senza paura di essere criticato.
Non teme di distruggere il suo mito?
E’ uno slogan che ho letto, ma io non ci credo. Non ho mai avuto questo genere di complessi. Non devo mostrare necessariamente il mio lato forte. Ho un grande dono, in tutti i sensi, e ci sono nato, quindi non lo devo affermare. La mia paura era invece che il film diventasse un film autocelebrativo. Invece ho chiesto che fossero intervistate anche persone a cui non piaccio, ma ho chiesto anche che spiegassero perché. Io qui non interpreto Rocco Siffredi, come al solito. Io qui sono Rocco Siffredi. Mi tornano in mente le mie paure, gli angeli e i demoni che mi accompagnano, essendo la persona che sono, che ha deciso di andare avanti a fare quello che fa quando aveva tutti contro. Ma solo facendo questo io mi sentivo libero e non frustrato.
E la vita fuori dal set, come la vive?
Lo ammetto, non sono mai riuscito a vivere la connessione col mio lavoro come ‘normale’. Mi ricordo la sofferenza di mio padre che si spaccava la schiena per andare avanti e finiva i soldi a metà mese. Mia madre voleva che diventassi prete, ma volevo anche che la mia famiglia vivesse in condizioni migliori. Forse perché sono cresciuto così, in ambiente religioso – tutte le domeniche a fare il chierichetto, controvoglia – ma la colpa me la sento ancora addosso. Anche oggi, quando torno a casa da mia moglie. Lei sa benissimo qual è il mio lavoro, mi ha scelto comunque, non ha problemi. Ma ogni volta io la devo guardare negli occhi ed essere sicuro che vada tutto bene. Sento di dover essere perdonato. E’ una cosa dalla quale non sono mai riuscito a staccarmi.
Ma suo figlio, nel film, dice che è contento di averla come padre…
Non ho mai voluto nascondere loro niente. Già quando erano piccoli i miei figli mi vedevano fare foto circondato da ragazze discinte. Sapevano cosa facevo. Per esempio a Cannes, quando ancora davano l’’Oscar porno’, passeggiavamo per la strade e quando vedevano una ragazza dicevano: ‘ma quella signora è per papà ?’. E io gli spiegavo: ‘No, no. Non tutte le signore sono per papà’. Non mi sono mai nascosto. Il problema ce l’ho avuto quando loro hanno cominciato a sviluppare la loro sessualità. E allora ho avuto paura che mi potessero giudicare.
E allora, per un momento, aveva deciso di lasciare il porno…
Sì, ed ero convinto. Ma non funzionava perché… non so nemmeno io perché. I miei istinti erano troppo forti. Mi trovavo ad andare continuamente a prostitute e sapevo che per fare quello lasciavo i miei figli che erano piccoli e volevano giocare e mi faceva troppo male. Sono tutti problemi che vengono da me, non dalla mia famiglia né dall’esterno. E’ una battaglia interiore. Era più un bisogno psicologico che fisico. Spesso nemmeno iniziavo, le pagavo e andavo via per il senso di colpa. Io non mi sono mai drogato né ubriacato, ho un solo vizio. Ma è veramente come una dipendenza. Dicevo ‘non mi merito questa famiglia’. Ma non potevo fare a meno di fare sesso, di dedicarmi alle donne. Forse perché mi hanno sempre voluto far credere che se avessi intrapreso la strada che ho intrapreso non avrei avuto diritto a una bella famiglia. Ma nemmeno a una brutta. Mi dicono che sono fortunato perché ho un contratto, anche nei confronti di mia moglie, che mi autorizza ufficialmente a trasgredire. Magari un architetto, un medico, o un giornalista come lei, quando torna a casa questi problemi non ce li ha. Anzi magari ha bisogno poi di cercare altrove quello che faccio io. Io ho gli stessi problemi, ma al contrario, perché non sono mai sereno. Probabilmente non riesco a godere della fortuna che ho.
Cosa l’ha aiutata?
Non sono mai andato da un medico, da uno psicologo né da un sessuologo. Sono sempre stato convinto che nessuno potesse capirmi, forse sbagliando. Mi sono tenuto dentro troppe cose. Sa cosa mi ha aiutato, un po’? L’Isola dei Famosi. Ho avuto tempo di riflettere molto. Ho cercato me stesso nella disperazione, nella fame e nella solitudine. Anche se mio cugino Gabriele, regista, che è anche nel documentario, minimizza le mie turbe dicendo che ‘sono solo cali di zuccheri’.
Sembra che vi vogliate bene, ma anche che abbiate un rapporto conflittuale…
E’ la persona che più mi conosce al mondo, insieme a mia moglie. E’ il mio più grande amico ed è un personaggio pazzesco, un vero artista, dovrebbero fare un film anche su di lui. Solo che siamo diversi, io cerco di buttare tutto fuori, lui è riservato e si tiene tutto dentro, per cui quando esplode, come ha visto anche nel film, risulta devastante.
Come le è parso il film, ora che lo ha visto finito?
La prima è stata a Parigi, io sono nato artisticamente in Francia, ma ammetto che ero preoccupato. Temevo che il loro fosse uno dei soliti documentari che fanno apparire solo i lati brutti e tragici del porno. Invece i due registi hanno una grandissima sensibilità, un italiano non sarebbe stato in grado, per via dei nostri pregiudizi. Si vede quello che è veramente. Non dico ‘il bello’ del porno, ma si vede tutto. Me lo avevano chiesto anche dall’Italia, dalla Polonia e dall’Inghilterra ma ho capito che solo due francesi potevano supportare al meglio quello che avevo in mente di fare.
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