Con il suo personaggio, Calamaro, dice di condividere la voglia di cambiare le cose, anche se spesso non è facile. Rocco Marazzita, 35 anni, originario della provincia di Reggio Calabria, è uno dei protagonisti di Timor-Finché c’è morte c’è speranza, dark comedy diretta da Valerio Di Lorenzo, al cinema dal 7 novembre con Blooming Flowers (che lo ha prodotto insieme a Sarabi Productions).
Presentato in anteprima ai Romics 2024 (Festival internazionale del fumetto, animazione, cinema e games di Roma), il film, scritto dal regista con Andrea D’Andrea, racconta dello sgangherato tentativo di una comitiva di quasi-trentenni di occultare il corpo di un uomo ucciso per sbaglio da uno di loro. Il cadavere diventa la metafora della loro spensieratezza e protratta adolescenza, che sta sfumando per lasciare posto a una stagione della vita più matura e responsabile.
Rocco, cosa condividi con Calamaro?
Sicuramente questo moto interiore che ha di voler cambiare le cose e provare a farle giuste. I personaggi del film sono persi, non sanno chi sono, e dove vanno, in qualche modo tentano di crescere. Almeno Calamaro prova ad agire, anche se poi il risultato non sarà quello che spera di avere.
Questi personaggi rispecchiano la gioventù di oggi?
Direi di sì. C’è una generazione che prova a cambiare, ma il problema è che, o per mancanza di strumenti o per via della società in cui viviamo, tutto è reso molto difficile. Vedo la differenza che c’è tra l’Italia e l’Inghilterra, dove ho vissuto per tanti anni. Da noi c’è una sorta di movimento cechoviano. Tutti vogliamo andare avanti, ma nessuno cambia. C’è anche un problema di prendersi le proprie responsabilità, come dice Calamaro.
Tutto questo nel film è raccontato attraverso il genere della dark comedy, che si fa poco in Italia.
Potrebbe essere una chiave per far ridere e riflettere anche da noi, come avviene nei paesi anglosassoni. È uno dei miei generi preferiti. Timor è un film che con leggerezza racconta dei drammi umani, portando lo spettatore a porsi delle domande.
Prima parlavi dell’Inghilterra, dove hai vissuto per un po’ di tempo.
Ho studiato lì recitazione per diversi anni. Volevo seguire metodi di insegnamento diversi. Sono stato per un periodo anche in Australia. Sono Paesi completamente diversi dal nostro. In generale, ho trovato in entrambi una società più aperta alla collettività, mentre da noi c’è invece molto individualismo.
Come sei approdato alla recitazione?
Nel periodo universitario, a 22 anni, non sapevo bene cosa avrei fatto nella vita, che poi è una delle cose più difficili da comprendere. In una scuola privata ho fatto un corso di speakeraggio, mi interessava capire come usare la voce. Sempre lì ho iniziato a frequentare anche un corso di recitazione, ne sono rimasto folgorato. Ho lasciato l’università e ho iniziato a studiare in giro tra Roma e il mondo.
Presto ti vedremo anche nella serie Dostoevskij dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo.
Quella è stata un’esperienza davvero incredibile. Sono dei geni, hanno una dedizione al lavoro e una cura del particolare rare, oltre a essere due autori che sanno raccontare il mondo da un loro punto di vista assai originale. A livello di scrittura aggiungono delle profondità al dramma umano. Con gli attori sanno creare un dialogo sempre aperto per la costruzione del personaggio.
Quanto è complicato oggi fare questo mestiere?
Non è solo in questo momento storico. Fare l’attore è sempre stato tosto, è un lavoro fatto di sacrifici, come tanti mestieri artistici. Io cerco di andare avanti nel mio percorso. Mi è capitato anche di far parte di progetti internazionali, come la serie inglese Hollyoaks, anche se i ruoli che propongono all’estero agli italiani sono sempre un po’ gli stessi e stereotipati. Però bisogna proseguire senza fermarsi.
Questo che momento è per te?
Dovrebbe partire un progetto all’inizio del 2025, e poi in primavera un altro. Nel frattempo sto lavorando con un collettivo di attori alla realizzazione di uno spettacolo a teatro, dove forse in questo momento c’è più possibilità di espressione. Un mio insegnante mi diceva: “Le serie tv sono per gli sceneggiatori, il cinema per i registi, e il teatro per gli attori”. Sono d’accordo. Mi sto anche dedicando alla scrittura. Con un collega attore stiamo buttando giù una sceneggiatura sempre di una dark comedy. Vediamo dove ci porterà.
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