Se c’è una parabola artistica che ha intercettato le contraddizioni storiche del nostro paese, le sue pulsioni sociali profonde – così mutevoli eppure sempre così simili a loro stesse – espresse dalla fine del boom economico ad oggi, ebbene quella parabola l’ha tracciata senz’altro Roberto Faenza, regista torinese dallo sguardo internazionale che compie oggi, 21 febbraio 2023, 80 anni.
Dalla Torino operaia, alla Sicilia borbonica, risorgimentale e, infine, mafiosa, passando indistintamente attraverso l’Olocausto e il Portogallo di Salazar, la visione di Faenza è sempre stata nitidamente dalla parte degli indifesi e degli oppressi, di coloro che faticano a trovare un proprio posto nel mondo.
Inizia la carriera giovanissimo con un esordio rumoroso, Escalation, specchio di un cinema che viene subito definito “arrabbiato” e che ben incarna lo spirito sessantottino (il film esce proprio nel ‘68). Qui, per essere ben accetti nell’invisa società consumistica bisogna abbandonare le proprie idee anticonformiste e, addirittura, macchiarsi di omicidio.
Questa rabbia generazionale espressa con così tanta lucidità, lo rende la vittima perfetta per la censura, complicando inevitabilmente la prima parte della sua carriera, tanto da spingerlo a rifugiarsi nel lavoro accademico. L’apice di questa fase è il film di montaggio Forza Italia! del ‘77, che nel giorno del rapimento di Aldo Moro viene ritirato dalle sale, nonostante in seguito lo stesso Moro ne consiglierà la visione in uno dei suoi ultimi memorandum di prigionia. La portata profetica di questo titolo, che anticipa l’avvento berlusconiano di un quindicennio, è solo l’ennesima manifestazione della capacità di Faenza di leggere fra le trame della nostra società. Una società che però lo ha già marchiato come ribelle, spingendolo a trovare asilo fuori dai confini nazionali.
Grazie all’importante – seppure in parte forzata – esperienza all’estero, Faenza sarà per sempre un regista capace di muoversi indistintamente sullo scacchiere produttivo internazionale, lavorando con alcuni dei più importanti talenti europei e Hollywoodiani. Espressione di un cinema libero e privo di confini, che trova accoglienza nel cuore dei personaggi più diversi e sfaccettati.
Non è un caso che il primo vero successo di Roberto Faenza sia Jona che visse nella balena del 1993, storia di un bambino ebreo che viene deportato da Amsterdam nei campi di sterminio. Il film vince tre David di Donatello, tra cui quello per la miglior regia, un Efebo d’oro e tantissimi altri riconoscimenti, segnando di fatto, a oltre 20 anni dall’esordio, il riconoscimento di Faenza come autore di spicco; come conferma il suo lavoro successivo, Sostiene Pereira, l’ultimo film italiano di Marcello Mastroianni.
I successivi 30 anni di carriera imprimono definitivamente il nome di Faenza nella storia del cinema italiano, grazie alla sua capacità di muoversi sapientemente tra difficili adattamenti di romanzi importanti come La lunga vita di Marianna Ucrìa, I Viceré e I giorni dell’abbandono, a storie tragicamente vere come quella del martire di mafia Don Pino Puglisi, di Simonetta Cesaroni, di Emanuela Orlandi e, infine, del premio Nobel Mario Capecchi, protagonista del suo ultimo film Hill of Vision, uscito nel 2022.
Nell’incredibile varietà di temi, ambientazioni, personaggi, è impossibile non riconoscere ancora l’impronta di quell’autore che poco più che ventenne fece tremare le maglie della censura italiana. Un regista che non racconta una storia, se in essa non intravede un qualche tipo di propulsione sociale e morale. Con i suoi film che esplorano le più gravi ingiustizie immaginabili, con i suoi personaggi vittime di una società crudele, ma mai domi, Faenza impedisce allo spettatore di stare comodo sulla poltrona. Eppure è da oltre 50 anni che lo spettatore su quella poltrona vuole continuare a sedersi.
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