TROPEA – L’incanto dell’innocenza, il mistero del buio, la forma letteraria, e il genere horror: Roberto De Feo, regista – di The Nest, e a A Classic Horror Story diretto con Paolo Strippoli – al Tropea Film Festival presenta L’innocenza del buio, romanzo scritto a quattro mani con Lucio Besana.
Roberto, ha esordito – al cinema – con The Nest: qui, nel libro, tornano il genere, la psicologia dell’animo umano, e i bambini. Sono tutti e tre temi a lei particolarmente cari, a quanto pare.
Qui c’è, ancora, anche il tema della paura: The Nest è la paura di crescere, di confrontarsi col mondo esterno, c’è sempre la paura come filtro per guardare la società e il mondo. Nel caso del romanzo, come del film, mi sono concentrato sulle nostre paure comuni: se ci pensa, la paura del buio, è forse la prima che incontriamo crescendo, quindi è un po’ come se fosse un contenitore universale di paura, che poi ognuno di ogni riempie con le proprie esperienze personali; crescendo ci rendiamo conto che il buio alla fine non c’entri nulla, siamo noi a riempirlo con le nostre proiezioni, con le nostre paure proiettate all’interno del buio stesso, sono le esperienze di vita a creare i mostri che abitano dentro il buio.
Questa storia letteraria potrebbe essere la base per una filmica? Ci hai pensato?
La storia è nata come un soggetto di serie! L’avevamo quasi finito di scrivere, quando è arrivata la proposta della casa editrice, Sperling & Kupfer: mi hanno chiamato chiedendo se avessi qualche storia da presentare, che poi si potesse trasformare in romanzo, e ho condiviso tre storie; a loro è piaciuta in particolare questa, così è arrivata la proposta di scrive il romanzo. A quel punto, ho bloccato lo sviluppo dell’eventuale serie per una questione di tempi e condizione mentale, non si potevano portare avanti contemporaneamente una serie e un romanzo, per cui abbiamo accantonato il progetto di presentare ai produttori la serie, con la speranza che il romanzo potesse andar bene, si creasse un suo piccolo pubblico, per poter poi essere più forti nell’eventuale produzione della serie.
Quindi c’è già certezza diventerà una serie?
No, non c’è ancora certezza, ma ci sono delle produzioni che si sono interessate all’acquisto dei diritti. La questione, però, è legata alle tematiche del romanzo. C’è già l’horror che, come sappiamo, da noi non gode di grande ‘stima’, per cui è difficile fare progetti di genere con budget importanti, ma questa sarebbe una serie relativamente low budget perché in un’unica location, la mia speranza è un po’ riposta anche su questo; però, poi, ci sono le tematiche che, appunto, sono cinema-repellenti e ci potrebbero creare quasi sicuramente dei problemi.
E qual è lo stato di salute, nella cinematografia italiana presente, del genere horror? Perché è importante tenere alta l’asticella del desiderio di fare horror da noi?
La cosa che dovrebbe piacere ai produttori è che il cinema di genere, soprattutto horror, da sempre goda di una fetta di pubblico affezionata e fedele, il problema è che continuiamo a produrre film di genere con budget striminziti e storie che si trovano a dover sempre scendere a compromessi, cosa a cui sono sempre stato contrario ma che capisco; produttori e distributori in Italia vorrebbero fare horror ma hanno paura di quella che è stata la risposta del pubblico negli ultimi 15/20 anni, senza rendersi conto che il pubblico sia stato disabituato perché ha vissuto un vuoto di oltre 30 anni, in cui l’horror non è più stato prodotto – tolti gli ultimi due di valore, di Dario Argento -, per cui è difficile che il pubblico italiano, da un giorno all’altro, torni al cinema a vedere l’horror italiano, soprattutto se non può competere con le produzioni più ricche che arrivano dall’estero. Se un giorno qualcuno avrà il coraggio di investire budget importanti per produrre un horror competitivo a livello internazionale, affidato al giusto team creativo, ci sarà la possibilità di risvegliare il pubblico italiano. Questa è la mia speranza. Bisogna fare un lavoro di transizione, passando in modo soft attraverso la nostra tradizione ma tenendo sempre di riferimento un immaginario che possa essere percepito dal pubblico come una via di mezzo tra estetiche straniere e un prodotto italiano: è difficile, certo; io l’ho fatto con The Nest e A Classic Horror Story: per il primo ho scelto una location e un impatto visivo che potesse essere ‘a metà’, non ‘Italia’, ma più un non-luogo.
L’innocenza del buio – scritto a quattro mani con Lucio Besana -, insomma ha punti di contatto con il racconto audiovisivo, al di là che lei sia regista.
Il libro, essendo stato scritto da due persone, ha due anime distinte: la prima parte, curata da me, è più vicina a quella che sarebbe un’eventuale sceneggiatura, e quindi è anche un po’ più asciutta, si concentra in modo abbastanza concreto nel voler raccontare l’universo iniziale della storia. Io l’ho sempre considerata particolare, perché il cinema non ha ancora raccontato il tema dei ricordi di vite passate, o almeno non da questo punto di vista. Io mi sono ispirato a diversi casi di bambini che ricordano vite passate, seguiti da specialisti medici di fama internazionale: il caso di riferimento è stato quello di Cameron Macaulay, scozzese, famoso come ‘il bambino che visse due volte’, perché da quando aveva 5 anni ricorda una vita precedentemente vissuta; gli psicologi e gli psichiatri credono sia uno di quei pochissimi casi al mondo inspiegabili, lasciando aperta l’ipotesi che si possa davvero trattare di ricordi di vita passata. Poi, in particolare, uno psichiatra di fama internazionale ha deciso di portarlo nella sua clinica e catalogare tutti i ricordi: alla fine hanno scoperto quale fosse il luogo in cui lui ricordava di aver vissuto e l’hanno portato insieme alla mamma, luogo che Cameron ha riconosciuto a prima vista; è stato fatto anche un piccolo documentario, per documentare tutto e – incredibile – si vede come prima di entrare nella casa, lui la descriva, senza mai averla visitata prima, e da qui è nata anche l’idea di inserire, nel nostro romanzo, il professore che porta i bambini nel castello. È così l’unico caso davvero inspiegabile che abbiano per le mani gli specialisti e da qui siamo partiti per costruire l’universo del libro.
La copertina del libro è molto suggestiva, potrebbe quasi suggerire l’idea di un racconto in animazione: si sperimenterebbe con questo linguaggio?
Sarebbe molto interessante e non nascondo di averlo pensato. La copertina è disegnata da Giuseppe Camuncoli, autore conosciuto da chi è amante dei fumetti, in arte Cammo. Io ho pensato alla possibilità dell’animazione, ma purtroppo è sempre il tema principale, che porta l’orrore in scena, a sposarsi ben poco con il l’animazione forse, parlando di abusi su minori: pensare a questa cosa, raccontata con l’animazione, sembra un binomio impossibile. Non nascondo di aver dato priorità al romanzo perché so già che il tema degli abusi sarà un muro quasi impossibile da sfondare, quindi ho creduto che un libro potesse essere uno strumento in più per creare terreno.
Dalle pagine di carta al grande schermo: ci sono ‘lavori in corso’, e sempre di genere horror?
Ho scritto un film e una serie ma che non so ancora se e quale dei due progetti partirà per primo: sono terribilmente superstizioso per cui per il momento non vorrei dire di più. Sono entrambi di genere horror, comunque: fin quando avrò la possibilità di resistere, resisterò. In questo mercato, che non ti permette di puntare su una qualità più alta per i film di genere, io ho scelto di insistere, è una battaglia a cui non mi vorrei arrendere.
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