Roberto Andò: “Il mio cinema tra Fellini e Rosi, e la mia prima serie tv”

SALINA - E’ stato assistente alla regia di Fellini, Rosi, ma anche di Michael Cimino.


Oggi è un regista di film impegnati e complessi, da Viva la libertà a Le confessioni, e sta per debuttare nell’universo molteplice delle serie tv con un nuovo progetto, incentrato sulla politica italiana. Ospite di Mare Festival 2016, Roberto Andò si prepara a partire per la Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, dove presiederà la giuria degli studenti di cinema chiamati a premiare il Miglior classico: “Mi ha fatto piacere che Barbera abbia pensato a me”.

Qual è il ruolo di un festival come quello di Venezia oggi?
Rispondo con un esempio: un film come Birdman, che trionfò agli Oscar, venne presentato in anteprima mondiale a Venezia. Che poi non abbia vinto è un altro discorso, le giurie sono imprevedibili, conta che sia stato presentato lì. I festival sono luoghi che festeggiano il cinema: Venezia lo celebra come forma d’arte, dettaglio importante. 

A proposito di arte, era assistente di Fellini, Cimino, Rosi. Che ricordi conserva di questi maestri?
Sono stati tutti incontri preziosi, interessanti. Quello decisivo è stato con Rosi, ci siamo sentiti ogni giorno fino all’ultimo. Con Fellini il rapporto era diverso. Ricordo che sul set lo chiamavano “il faro”: era un regista straordinario, un demiurgo, un genio. Sul suo set respiravi davvero lo spirito collettivo del lavoro, e poi era un imperatore: tutti lo andavano a trovare, da Ridley Scott a Tarkovskij.

Come cineasta, a quale di questi nomi si sente più vicino?
Rosi lavorava sulla realtà, era un civilizzatore: dal primo film in poi ha scritto un’epopea civile dell’Italia e del rapporto tra cittadino e potere. Fellini invece era un creatore di mondi che non esistono. Questi sono i due modi in cui io faccio cinema: credo ci debba essere un rapporto con la realtà, ma credo anche al cinema romanzesco capace di declinare il possibile, non solo il reale.

Cosa può anticipare della serie tv sulla politica italiana a cui sta lavorando?

E’ un progetto che mi appassiona molto. E’ la prima volta che mi occupo di televisione, mi è sembrato bello provarci. Il tema è stimolante: House of Cards ha avuto un successo planetario, questa non sarà una versione italiana di quella, che pure ho visto ed apprezzato perché girata benissimo e con attori stupendi. L’Italia è un paese del tutto diverso, con un gioco di potere tutto suo: noi siamo figli di Machiavelli.

Ritroveremo Toni Servillo nella serie?
Questo non lo so, siamo ancora in una fase embrionale. Con Toni ci lega un rapporto di amicizia e un sodalizio artistico forte: è un attore che si fa custode della sceneggiatura, la sceglie e la tutela più del regista. Con i grandi attori ci si intende subito.

Tornando al cinema, ha mai pensato di fare un film su Sciascia, che ha conosciuto personalmente?
Ho pensato di trarne uno da un suo romanzo che mi affascina molto. Ma mi piacciono anche i suoi diari di cronache scolastiche, in cui come maestro racconta il suo rapporto con gli studenti e da lì cogli un paese di solfatari, contadini, un contesto di miseria e povertà che sarebbe bello portare sullo schermo.

Sciascia resta il suo mentore, in qualche modo.
Sciascia è stato quello che mi ha dato più voglia di scrivere. Lo incontrai a Palermo, nella casa editrice Sellerio in cui lavorava. Si creò subito una sintonia, continuammo a frequentarci a Roma. Da quell’amicizia nacque una collaborazione, lui faceva il critico cinematografico per alcuni giornali e io lo aiutavo. Quel rapporto intenso tra me e lui dura ancora: Sciascia è uno dei pochi che ha legato letteratura e azione. Per lui un colpo di penna era un colpo di spada, mi resterà per sempre la sua concezione di scrittura come modo di rovesciare il sopruso.

autore
03 Agosto 2016

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