Roan Johnson: “Per ‘Monterossi’, ho scelto Bentivoglio quando mi ha risposto al citofono”

Il regista, dopo la prima stagione, torna a dirigere le storie interpretate da Fabrizio Bentivoglio, qui tratte dal romanzo “Torto marcio” di Alessandro Robecchi: debutto per Francesca Einaudi. 5 episodi Original Prime Video prodotti da Palomar, sulla piattaforma dal 10 novembre


Fabrizio Bentivoglio torna con il suo Carlo Monterossi, a Milano: omicidi senza spiegazione, la connessione con un sinistro rituale, il panico diffuso in città. C’è il destino, il proletariato, la multietnia, lì tra la penombra dei modernissimi grattacieli della più europea delle metropoli italiane e il contenitore di Crazy Love – format tv – di cui padrona di casa si conferma Carla Signoris, tra le certezze della prima stagione insieme a Tommaso Ragno, Donatella Finocchiaro, Maria Paiato, Diego Ribon e Martina Sammarco, oltre alla “debuttante” Francesca Einaudi.

E come torna Bentivoglio, non potrebbe non tornare anche Alessandro Robecchi, dal cui romanzo Torto marcio è adattata la seconda stagione di Monterossi – La Serie. E con loro, si conferma anche la regia di Roan Johnson, che prima di far immergere lo spettatore nei cinque episodi, ci porta un po’ più addentro al mondo che progredisce di Monterossi.

Roan, nella prima stagione abbiamo conosciuto un Carlo Monterossi involontario innamorato dei perdenti, amabilmente scocciato, intrinsecamente affascinante, cordialmente disincantato, ritrosamente romantico, pervaso d’ironia, colto e leggero. Qui, nel suo secondo tempo, continua a essere se stesso, ma… potrebbe anche offrire allo spettatore qualcosa di sé che ancora non aveva mostrato?
La cosa più importante, che cambia, è un suo giro di boa da un punto di vista sentimentale. È un uomo di un tempo passato, che ha dentro sé questo animo che s’aggrappa dentro a quello che non c’è più, come alla sua Milano, ora assediata dalla modernità dei nuovi grattacieli, e così rimpiange nostalgicamente Lucia, che fondamentalmente ha sempre creduto essere la donna della sua vita. E qui, invece, c’è un prendere coscienza forse fosse più un miraggio della malinconia, uno stare attaccato a un sentimento che era scomparso, più che un reale desiderio. Era come la nostalgia di un desiderio, più che il desiderio stesso. Questo lo porta a confrontarsi, più nudo, a nervi scoperti – senza quell’armatura che questa cosa gli dava e che forse lui si teneva – con una nuova figura femminile, Isabella De Nardi Contini, interpretata da Francesca Einaudi, una donna affascinantissima, che gli smoverà dentro una serie di dilemmi, anche etici e morali. Quindi, vediamo sempre il nostro Monterossi ma di fronte a dilemmi ancor più profondi e personali.
 
Perché Bentivoglio, già indiscutibilmente calzante nel ruolo nella prima stagione, è il ‘perfetto Monterossi’, quali sono le sue caratteristiche d’attore che lo rendono il personaggio che restituisce?
Le racconto un paio di aneddoti. Quando ho letto i romanzi di Robecchi avevo immediatamente avuto la sensazione di conoscere bene il personaggio, soprattutto quando poi ho conosciuto Alessandro, che un po’ si nasconde ma in realtà è abbastanza Monterossi: poi, quando l’ho incontrato, ho proprio pensato che Monterossi fosse Bentivoglio. Sono andato a dirlo a Carlo Degli Esposti, che subito l’ha chiamato e, considerato il suo istinto per gli attori, da Zingaretti per Montalbano in poi, ho pensato che forse allora c’avessi preso anch’io… Per conoscerci con Fabrizio, poi – anche perché Monterossi non partiva – gli ho proposto nel frattempo un ruolo ne La concessione del telefono e lui mi ha invitato a casa, dicendo di portare il copione, per parlarne. Io vado a casa sua, mollo la moto, suono il citofono e… da come lui mi ha risposto: ‘pronto, avanti’, io mi son detto ‘cazzo, c’ho azzeccato!’, non l’avrei nemmeno dovuto vedere, m’era bastato sentirlo, pazzesco. Quando abbiamo parlato del personaggio, gli ho detto che avrebbe dovuto essere il più se stesso possibile, che è una cosa sempre molto delicata da dire a un attore, anche perché non semplice o immediata: c’è stato un momento in cui entrambi siamo arrivati a parlare dei suoi primi film, Marrakech Express e Turné, e lui ha affermato, pensando a Monterossi: ‘devo fare Turné’, e io gli ho risposto ‘sì, esatto!’. Lui è incredibile, non sbaglia mai niente, ha una memoria di ferro, quando gli dai i movimenti di macchina non si fa mettere i segni a terra: veramente con lui vedi il professionista con la P maiuscola. Poi, è anche un attore molto tosto, come con costumi e trucco, a cui tiene tantissimo, e sicuramente ha cognizione di causa, per cui il confronto è davvero tosto, anche se siamo diventati super amici; è uno di calibro, che arriva con un bagaglio, ma una delle sue caratteristiche più belle è il rispetto assoluto per gli altri attori con cui recita, con una propensione all’aiuto, all’ascolto, al trovare una sintonia, piuttosto che andar dritto per la sua strada e pretendere di essere seguito, qualcosa di impagabile.

Un’altra protagonista imprescindibile è Milano: da regista, come ha continuato ad approcciarsi alla visione della città? Ha mantenuto continuità o cercato punti di vista ulteriori?
C’è molta più continuità che discontinuità. Torto Marcio era uno dei romanzi che mi era piaciuto di più, ma siccome eravamo partiti – nella prima stagione – con un formato poco adatto per uno scritto così complesso e profondo, siamo stati costretti a scartarlo, a malincuore; invece ora, su Prime, a puntate, abbiamo capito fosse il momento di riprenderlo, e abbiamo approfondito la parte dei casermoni popolari di San Siro, un pochino meno raccontata nel romanzo. Nella prima stagione avevamo già tentato di raccontare una città che è una delle capitali del mondo contemporaneo, con i suoi paradossi, e quindi con gli studi tv, gli attici, i grattacieli scintillanti, ma anche con i bassifondi, i campi rom, e in questo caso quei casermoni popolari sono la vera essenza di quell’altra parte della bilancia di questa città. San Siro – cosa che ho scoperto facendo scouting delle location – è un quadrilatero vasto di 20/25mila persone, e oramai è una parte centrale di Milano: lì scopri il tessuto sociale, che non si vede nelle Stories di Instagram sulla città. Quando lì entravo nei monolocali, magari con la muffa, o altri invece tenuti bene, ho visto una complessità e le contraddizioni interne, che abbiamo un pochino provato a raccontare, era un mondo che volevamo approfondire. Questa escursione termica tra l’alto e il basso era già presente in Monterossi ma con questa stagione l’abbiamo raccontata meglio e approfondita, e quello che a me interessa dei romanzi è raccontare le contraddizioni del futuro prossimo, dinamiche di Milano che tra un po’ potrebbero vedersi in altre città di spirito europeo, Londra, Francoforte; Milano è l’unica vera capitale europea che abbiamo in Italia. E anche per questo abbiamo aumentato i punti di vista, non c’è solo quello del Monterossi che va a indagare…

Nel personaggio della conduttrice tv interpretato da Carla Signoris s’è da subito riconosciuta una certa ironia, una satira lieve, per una televisione caratterizzata da ‘pornografia dei sentimenti’: cosa vi affascina e cosa vi fa ribrezzo di quella tv, tanto da non poter fare a meno di metterla in scena?
Io avevo paura di quella parte, perché quella tv secondo me è già parodia di se stessa. Quando la vedi, se hai uno sguardo un minimo disincantato, non ci credi quasi che stia accadendo e questo mi faceva una paura enorme, perché – per essere verosimile – devi andare in quel tipo di non verosimiglianza, con il rischio di sembrare sopra le righe, quando in realtà quello che succede in televisione è più sopra le righe di quello che metti in scena. Guardando la prima stagione avevo notato che tutte le volte che si stava dietro le quinte s’era perfetti, così – sia nello studio dove Flora e Monterossi battibeccano, sia nei momenti prima della diretta – siamo stati attenti ad aumentare quelle parti, facendo salire a galla la parte della tv già vista solo nei momenti più importanti. L’approccio è stato questo, affiancato a un discorso sui social – con Greta, la ragazza rimasta orfana di padre –, perché in un momento in cui abbiamo urgenza di raccontarci, il racconto della tv viene quasi scavalcato dal social, in un circolo vizioso in cui, sulla Rete, sei sia la vittima che il carnefice di te stesso: abbiamo provato a unire questo; i social ci hanno fatto vedere che questo meccanismo diabolico, morboso, della pornografia dei sentimenti, è qualcosa che, come una medusa mostruosa, ti porta a guardare e a rimanere un po’ impigliato dentro; è come se in questa serie avessimo – non dico giustificato Flora – ma mostrato il meccanismo della macchina televisiva, rispetto al solo affermare: ‘lei è stronza’.

Roan, lei si dimostra a proprio agio tra cinema e serialità: impossibile non pensare all’altro gioiellino che dirige, I delitti del Bar Lume. Dal punto di vista registico, c’è un ‘marchio di fabbrica’ riconoscibile – e che le piacerebbe fosse colto come tale – proprio della sua autorialità?
Io nasco sceneggiatore e scrittore, certamente mi piace molto variare, e tendo a essere molto al servizio della storia. Però, la cosa per cui godo di più – sia da spettatore, sia quando la faccio io – è quando si riesce a mescolare anche cose drammatiche con l’ironia: quest’ultima e la satira sono in Monterossi, la comicità della commedia più nel Bar Lume. Mi piace mescolare e il non aver paura di raccontare morti e ammazzati trovando la chiave per riuscire a riderci sopra, come appunto nel Bar Lume. È una cosa che ho provato anche in Piuma e… me la porto sempre dietro e tantissime proposte che mi arrivano vanno in questa direzione, infatti quando mi mandano proposte del tipo ‘facce ride’ tendenzialmente dico di ‘no’. Mi piace quando riesco a raccontare dei personaggi complessi, o un tema o un’arena, come quella di Monterossi, che ha tante stratificazioni e complessità, ma senza mollare l’ironia e l’autoironia.

Monterossi – La Serie, Originale Prime Video prodotta da Palomar, sulla piattaforma dal 10 novembre. 

Nicole Bianchi
05 Novembre 2023

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