River Phoenix, un “fantasma” sullo schermo 20 anni dopo


BERLINO – “Era un ragazzo notevole. Aveva una testa da grande su spalle giovani. Era molto serio sul lavoro e in sei settimane di set in cui abbiamo passato tantissimo tempo insieme, non l’ho mai visto drogarsi”. Sono passati 20 anni da quell’ultimo film, Dark Blood, che River Phoenix non riuscì a portare a termine, portato via, il 31 ottobre 1993, da un’overdose fatale. E questo è il ricordo che il suo co-protagonista Jonathan Pryce ha di quel set “maledetto”. La morte di River Phoenix sconvolse Hollywood e non solo, perché il ragazzo prodigio, a soli 23 anni, si era già fatto apprezzare in film di Gus Van Sant, Steven Spielberg, Sidney Lumet, e sembrava un giovane con la testa sulle spalle. Ora di quel film incompiuto – una sorta di western psicologico e quasi mistico, tutto ambientato nel deserto – il regista George Sluizer ha rimesso insieme i pezzi. E riportato “in vita”, sugli schermi della Berlinale fuori concorso, River Phoenix, che vi vestiva i panni di un giovane vedovo isolatosi dal mondo dopo la morte della moglie per effetto delle radiazioni dei test nucleari effettuati in zona. Nel suo strano rifugio si imbatte una coppia di attori – interpretati da Judy Davis e Jonathan Pryce, appunto – costretti a chiedere aiuto con la macchina in panne nel mezzo del nulla, poi “sequestrati” da questo strano ragazzo.

 

Rimasto in un magazzino fino al 2009, il regista olandese ha ripreso in mano il materiale per due motivi: “A un certo punto ho saputo che avrebbero distrutto la pellicola e ho dovuto reagire velocemente per salvarla. E poi, nel 2007, ho avuto un aneurisma e i medici mi avevano condannato: mi sono detto che prima di morire volevo rimettere insieme al meglio Dark Blood“. Ora la pellicola, integrata nelle parti mancanti con immagini fisse i cui dialoghi sono narrati da una voce off, è al festival tedesco. La famiglia di River, dice Sluizer, non ha voluto partecipare al festival, “ma sono stato in contatto con la madre, che mi ha fatto i migliori auguri per il film”.

 

Il regista racconta del grande rispetto che il giovane Phoenix – in quel film con un insolito look con capelli scuri e taglio cortissimo – aveva per il lavoro e per le persone più grandi, e che lo scelse senza provino “perché mi interessava il contrasto su ciò che si sapeva e si sentiva su di lui, su come appariva, e un suo lato più strano, un po’ folle, separato dal mondo normale”. Quando River venne a mancare, “restava da girare il 25% della storia – racconta – e alcuni materiali sono anche andati persi. E’ stato necessario ripensare la storia per renderla comprensibile e piacevole per pubblico”. Ma è rimasta forte, in Dark Blood, una componente mistica “dettata anche dal fatto che si svolge in territorio indiano e da ciò trae grande influenza, come anche dalla minaccia nucleare”. Il film, per il momento, non ha una distribuzione, e sembra destinato alla circuitazione per i festival. Di sicuro c’è il fascino che riveste l’ultimo lavoro di quel ragazzo talentuoso e precoce, che sul set nel deserto ha fatto in tempo a far filmare la propria morte nella finzione. “Quando abbiamo girato l’ultima scena con River – ricorda il direttore della fotografia Edward Lachman – allo stop ero convinto di aver spento la macchina da presa ma non era così. Poi ho visto il risultato: River era diventato una perfetta sagoma nera che camminava davanti all’obiettivo. E’ stata una fine incredibile per il film: era già diventato un fantasma”.

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14 Febbraio 2013

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